Una signora avvolta in una canottiera con i colori della bandiera degli Stati Uniti alza un cartello che sostiene che l’obbligo del mantenimento di una certa distanza fra gli individui è una manifestazione del comunismo. L’obbligo che si ha oggigiorno a mantenere una certa distanza fra gli individui è però il frutto delle politiche volte a contenere la diffusione del coronavirus. E dunque che c’entra il comunismo?
La signora ha probabilmente sposato la visione favorevole a uno Stato molto limitato nelle sue funzioni, uno Stato che si occupi essenzialmente della protezione dei diritti individuali di libertà e di proprietà, e quindi che, persino nel caso della pandemia, non imponga il distanziamento fra gli individui. Altrimenti detto, che lo Stato non si intrometta nella sfera privata in alcuna circostanza.
Questa visione è più o meno in linea con quella dei liberali austriaci, come von Moses e von Hayek. È però possibile che la signora vada più in là. Potrebbe, infatti, seguire le versione estrema sul tema dell’ingerenza dello Stato, quella che si rifà a Rothbard. Il quale ultimo immagina una società in cui le funzioni di protezione – come la polizia, e di giustizia – come la magistratura, siano svolte da compagnie private in concorrenza tra loro. Questo modo di vedere le cose è etichettato come “anarco-capitalismo”.
È però sbagliato pensare che la signora sia un esempio unico di estremismo “neo-liberista” statunitense. Anche nel Bel Paese c’è chi pensa che l’obbligo della distanza sia un’ingerenza dello Stato nella vita privata, e crede che questo obbligo sia una manifestazione dello “stato di polizia”, che, come tale, è legittimo ignorare. Nel Bel Paese però, e a differenza di quanto afferma il cartello della signora, si pensa che il comunismo, essendo una delle varianti dello stato di polizia, rientri nella definizione generale, e quindi non è menzionato.
Si possono fare tre obiezioni a questo modo di giudicare il distanziamento sociale come un obbligo di natura repressiva, portato avanti da uno Stato diventato illiberale, se non addirittura comunista. La prima richiama un economista liberale. La seconda mostra una contraddizione nel ragionare di chi si oppone al distanziamento. La terza, è un’incursione nella storia dell’Unione Sovietica.
La prima. Per Keynes, nella nostra libera traduzione: «Ciò che rileva per il governo non è fare le cose che gli individui già fanno, e neppure farle un pochino meglio o un pochino peggio, ma fare quelle cose che gli individui al momento non fanno per nulla». Se il distanziamento è necessario fin da subito per evitare la diffusione del virus, allora è difficile pensare che esso possa sorgere come un comportamento spontaneo, vale a dire non pre-ordinato, di milioni di individui. Ed ecco che diventa necessario l’intervento dello Stato.
La seconda obiezione ricorda i “limiti della conoscenza”. Nessun individuo può sapere in ogni momento chi sia infetto e chi no fra le migliaia di persone con cui ogni giorno interagisce. Ergo, se ognuno fosse libero di comportarsi come meglio crede, e quindi fosse libero di non distanziarsi, il virus si diffonderebbe facilmente.
Infine, la terza. La scelta di costruire “il socialismo in un solo Paese” implicava lo sviluppo di un’economia in grado di crescere nella massima misura possibile, avendo come obiettivo la formazione di una forza militare per garantire l’indipendenza. Da qui la politica economica volta a finanziare gli investimenti e non i consumi, se non nella misura del necessario. Da qui, e fino alla Seconda guerra, la carenza di abitazioni e la convivenza di più famiglie nello stesso appartamento. Un caso opposto al distanziamento di cui il comunismo sarebbe, secondo alcuni, alfiere, visto che le famiglie dividevano persino il bagno e il frigorifero. Non solo, il socialismo, nell’attesa di eliminare nel futuro le classi con il comunismo, portava avanti il primato della classe sull’individuo. Nella classe sociale cui si appartiene per nascita, e in cui si resta nella gran parte dei casi, non si ha un distanziamento individuale, ma la vicinanza di intendimenti con i propri simili.