From Turro with foodMatteo Fronduti: Gastronomia di periferia

Lo chef più burbero di Milano (e il più gentile) inaugura oggi il suo non-delivery, fatto di ricette lente, prodotti dei fornitori, take away e consegne a domicilio fatte dalla sua squadra. Perché dopo aver provato gli altri delivery ha scoperto che ne serve uno diverso

Se il delivery è la salvezza, come farlo fa la differenza.

Parte oggi quello dello chef genio e sregolatezza per eccellenza, il buon Fronduti da piazza del Governo Provvisorio a Milano. E si chiama – mai nome fu più identificativo – Gastronomia di Periferia. Come spiega l’ideatore in persona, un po’ una posteria d’antan, un po’ una gastronomia. «Siamo stati sul basico, letterale: proprio sia per la bottega gastronomica, che è quasi scomparsa, sia per l’etimo della parola, che significa ‘scienza del preparare da mangiare’. Noi siamo un ristorante gastronomico, e si presume abbiamo competenze nel far da mangiare. E di periferia… perché siamo in periferia». Non fa una piega.

Neopapà, Matteo il burbero cortese, ha avuto modo durante la reclusione di assaggiare qualche piatto portato a casa e ne è rimasto deluso (noi abbiamo usato un eufemismo, lui meno): da qui l’idea di fare un non-delivery che portasse a casa dei clienti del ristorante cibi cucinati dalla brigata del Manna e una spesa intelligente, che duri tre o quattro giorni, fatta di sughi, ragù, brodo e passatelli, bollito, trippa e altre ricette magari non di stagione ma che richiedono sapienza e lunghe cotture, ricette che uno a casa non si farebbe, ma anche i prodotti dei fornitori del locale, come i formaggi di Draghi, la mortadella di Franceschini, la pasta di Felicetti, il riso Acquerello.

Mentre cucina i piatti per l’asporto, Matteo ci spiega perché ha voluto costruire un nuovo format: «Innanzitutto, mi ero rotto di stare a casa. A parte il primo mese di sbigottimento e la rincorsa dei decreti per mettere in sicurezza l’azienda dal punto di vista burocratico, amministrativo e fiscale, una cosa molto frustrante, ho avuto tempo di pensare alla gastronomia. Volevo tornare a fare qualcosa perché non è sostenibile che io continui a cucinare a casa. In previsione di un futuro con tutti i vincoli che ci si prospettano volevo creare una cosa non solo emergenziale, ma che diventasse un progetto stabile. Il tema fatturato sarà fondamentale nei mesi che verranno: non penso che avremo il plexiglass, ma saranno limitati capienza e affollamento e quindi vedremo limitata la nostra potenza di fuoco per il fatturato. Volevo un progetto svincolato dalla ricettività del ristorante, gestibile anche con il locale aperto. Non voglio trasformare il ristorante nell’odiosa dark kitchen, ma impiantare un progetto che possa evolvere per poterlo gestire in parallelo, ed eventualmente dargli in seguito una sede fisica. In questi giorni sono stato anch’io il cliente di un po’ di delivery e, nel mio giorno libero dalla dieta che sto seguendo, avevo voglia di premiarmi. Il delivery era l’unica alternativa possibile ma sono stato molto frustato, perché arrivano a casa cose improponibili. Alla fine spendi più in sacchetti sottovuoto che in soddisfazione. E quindi ho ragionato su che cosa potevamo fare noi: il risultato apre oggi ed è una bottega. Perché non è portare a casa l’esperienza di Manna: il ristorante non è solo il cibo, è tanto altro».

Si ordina solo al telefono, tutte le info sono sui social network: il pragmatismo di Matteo è stato determinante anche in questa scelta. Per terminare l’intervista è stato perentorio: «Finisco la trippa e arrivo». Noi non vediamo l’ora di assaggiarla.

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