Carlo Bonomi ha sbagliato. Se il suo intento era farsi cooptare nel grande coro dei questuanti che mendicano sussidi statali a pioggia e a fondo perduto, per poi accomodarsi alla greppia della più grande distribuzione indifferenziata di denaro pubblico della storia repubblicana, ha dimostrato tutta la sua inadeguatezza da parvenu dell’agone politico romano.
Suvvia. Ti invitano al Casino del Bel Respiro, ti offrono il quarto d’ora wharoliano nella grande kermesse degli Stati più Generalisti della storia, e tu che fai? Critichi invece che implorare prebende pubbliche? Ingrato. Scostumato d’un Bonomi. E poi, con che linguaggio! Numeri, fatti, comparazioni internazionali. Che scurrile volgarità.
Una bestemmia in chiesa, usare l’orrendo turpiloquio dei numeri davanti a un padrone di casa che normalmente li aborre, quando è necessario li sminuisce – i “numerelli”, il duevirgolazeroquattro – e il più delle volte semplicemente li confonde. Arrogante, ’sto Bonomi, con le sue proposte secche e lucide.
Davanti a un invito alla kermesse delle buone intenzioni politiche, un confindustriale comme il faut dev’essere paludato e ambiguo, deve dire e non dire, far capire giusto un pochino e poi però dissimulare. Eppure sarebbe stato così semplice sollecitare al Governo le cose che prima di lui hanno chiesto molti presidenti di Confindustria, recenti e passati: rendite, protezioni, concessioni.
E invece no. Il temerario Bonomi si ostina a chiedere riforme, produttività, trasparenza, efficienza. L’ingenuo Bonomi. Che però si atteggia a duro. E poi chi sarà mai questo Bonomi: non è figlio d’arte, e nemmeno un boiardo. Ma come si permette, questo Bonomi, di diventare presidente di Confindustria? E pure con una valanga di voti. Quello è un ruolo che si eredita, come le aziende di famiglia o i feudi delle partecipazioni statali, o al massimo che si conquista con la dura gavetta della frequentazione politica.
Lo descrivono come un manager diventato piccolo azionista. Insomma, agli occhi del Prof. Avv. Conte, una specie di liberto da poco affrancato dalla schiavitù del capannone, un mezzadro industriale appena uscito della catena di montaggio. Uno che ha frequentato fabbriche e mercati, invece di crescere tra i tavoli di mogano dei consigli di amministrazione pubblici.
Non solo. La sua azienda vive di export e non di commesse statali. Davvero inelegante. Un presidente di Confindustria che si rispetti deve essere non solo metodologicamente filogovernativo, ma anche possibilmente ricattabile: o direttamente, sul fatturato legato a commesse pubbliche, o indirettamente, con minacce di leggine e regolamenti ad hoc. Bastava garantire continuità nella blandizie, imprenditori irriconoscenti che non siete altro.
L’altra volta avevate fatto una scelta così rassicurante e politicamente corretta, perché cambiare? Perché scegliere questa specie di carneade manzoniano senza arte diplomatica né parte politica, invece di puntare su candidati più docili e manipolabili? Ah, che nostalgia di un predecessore, che, per affinità elettive, si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità.
Bonomi dovrebbe sapere che non si fanno mai – ripeto, mai – richieste irricevibili per il Governo: non si chiede la certezza del diritto, il rispetto dei contratti, l’implementazione dei provvedimenti.
A parte che magari non è nemmeno colpa sua, povero Bonomi. Sono cose che gli mettono in testa i liberali da divano. Gentaglia che sorseggia cocktail dal nome globalizzato, mentre qui a Villa Pamphilj è di rigore l’italico prosecco sovrano.
Vuol fare l’americano a Roma, il Bonomi. Chiede un’unità autonoma di valutazione comparata degli effetti attesi dalle misure di spesa e investimento pubblico. Ma come si permette? E che fine farebbe l’autonomia della politica, nome che diamo ad azioni di governo che i suoi amici mitteleuropei e frugali definirebbero probabilmente arbitrio assoluto e totale irresponsabilità, ma solo perché sono invidiosi del meraviglioso “modello Italia”?
Non contento, Bonomi chiede addirittura di misurare ex ante le stime degli effetti dei mirabolanti annunci governativi, e controllarne ex post nel tempo i concreti risultati prodotti nell’economia italiana. Fantascienza. Delirio. Non invitatelo più agli Stati Generali, che poi a Conte finisce storta pure la pochette. Al massimo, per salvare la forma, fatelo ricevere da un sottosegretario grillino che gli spiega il progetto di decrescita felice.