A venti giorni dal voto regionale, l’Italia mette in scena la sua ordinaria commedia, una parodia scala 1:1000 delle elezioni Usa, nella parte in cui i due schieramenti si rinfacciano (da sinistra a destra) tentazione autoritaria, scarsa cultura, fascismo, oppure (da destra a sinistra) collaborazionismo con gli scafisti, buonismo, tradimento della patria. Ci sono due card che riassumono bene la questione. La prima è la pubblicità della festa nazionale dell’Unità, con un titolo che racchiude un mondo: «Bella Ciao»(partigiani, resistenza, armiamoci contro il nemico di sempre). Nell’altra, Giorgia Meloni ci guarda negli occhi e ci dice: «Loro: sanatorie, sbarchi incentivati, porti aperti. Noi: blocco navale e difesa feroce dei confini italiani. Tu con chi stai?».
La scelta tra due opzioni radicalmente avverse si impone ancora una volta come tema chiave dell’appello dei partiti, lo stesso che abbiamo visto appena proporci dalle convention dei repubblicani e dei democratici americani, ove da un lato si è descritta l’America dell’apocalisse socialista – neri che sparano ai poliziotti, l’abolizione dei sobborghi, anarchia, vandalismo e caos senza nemmeno un kalashnikov per difendersi perché Joe Biden li avrà vietati – mentre dall’altro si è è evocata la biblica battaglia della Luce contro le Tenebre, dove la parte del diavolo la fa ovviamente Donald Trump, autocrate, razzista, corrotto, ignorante, disumano.
Tra il colossal politico made in Usa e la nostra modesta recita scolastica c’è tuttavia una differenza, e non è solo nelle proporzioni. I presidenti americani plasmano il Paese, affermano una linea politica che si trasforma in fatti. Trump il suo muro ha provato a costruirlo davvero, così come ha abolito parte della riforma sanitaria di Obama, cancellato mezzo milione di Green Card (i visti per i lavoratori stranieri), ritirato gli Usa dagli accordi sul clima, stroncato ogni precedente cautela sulle opere di grande impatto ambientale, dalle trivellazione agli oleodotti, bloccato la riforma sul possesso di armi. E se vincessero “gli altri” è pressoché certo che ciascuna di queste decisioni sarebbe ridiscussa, ritirata, corretta, non solo in ossequio alle promesse elettorali ma anche come atto di decenza politica per dare un senso al “noi” e al “loro” proclamato in campagna elettorale.
In Italia la battaglia tra Luce e Tenebre (a chiunque siano affidati i ruoli) va avanti da un pezzo senza che se ne notino le conseguenze. La Luce (o le Tenebre, fate voi, dipende da chi votate), prende il potere e si tiene le leggi e persino le proposte di quelli di prima. Le Tenebre protestano, gridano al golpe, chiedono nuove elezioni. Così il Paese muore! Andremo tutti per stracci! E però non è cambiato quasi niente. Le norme bandiera fatte da quelli di prima – Quota Cento, Reddito di cittadinanza – e persino da quelli di molto prima restano tutte in vigore. I decreti sull’immigrazione, l’abolizione della protezione umanitaria, il trattenimento fino a 180 giorni nei centri di rimpatrio, le restrizioni del sistema di accoglienza solo a minori e ai titolari di protezione internazionale, sono ancora lì. Pienamente operative. Tra meno di un mese voteremo il dimezzamento dei parlamentari: pure quello un’idea delle precedenti Tenebre, così come la riforma della prescrizione entrata in vigore in gennaio (quando già governava la Luce) e il rifiuto del Mes.
Insomma, da noi la risposta alla domanda fatale “Tu con chi stai?” finisce per diventare un fatto estetico, una questione di adesione tribale più che la scelta di una direzione politica da imprimere al Paese. Il “noi” e il “loro” perde senso e sarà bellissimo abbracciare la Luce invece delle Tenebre (o viceversa), sentirsi arcangeli o demoni nell’attimo del voto, ma prima o poi qualcuno dovrà pur decidersi a trasformare gli orientamenti degli elettori in qualcosa di più della scelta di una parte in commedia che incide poco o nulla sul reale.