Dice Enrico Letta al Fatto quotidiano che «il Parlamento, soprattutto nella Prima Repubblica, ma anche nella Seconda, è sempre stato retto e gestito da due terzi dei parlamentari. Gli altri non andavano neanche in Commissione, ma si occupavano dei partiti».
Che è un modo molto elegante e professorale di esprimere il concetto: un terzo lo possiamo tagliare tranquillamente perché tanto non combina nulla, quell’inutile casta di fannulloni (a prenderlo alla lettera, dovremmo anche chiederci come faremo a individuare il terzo giusto da tagliare, e a tenerci i due terzi buoni, ma è chiaro che non è quello il punto).
Trattandosi di Enrico Letta, vale a dire uno dei più qualificati esponenti della classe dirigente democratica, già presidente del Consiglio e ministro in diversi governi, attualmente professore a Parigi, a suo tempo tra i più entusiasti sostenitori del governo Monti, molte cose verrebbero da dire leggendo quelle parole, specialmente pensando al giornale a cui le ha dette e al Movimento 5 stelle che ne è in fondo l’ideale destinatario, come promotore della riforma.
E la primissima cosa che in proposito a me personalmente viene da dire a loro – al Fatto, ai cinquestelle, ai loro sostenitori – è semplicemente: scusatemi. Se questi sono i riformisti, i loro argomenti e i loro principi, che senso ha continuare a prendersela con i populisti?