È notte a Roma, ed è una notte che dura da talmente tanto tempo che ci siamo dimenticati di quando qui c’erano crescita, cultura, idee, politica. Ed è tanto tempo che non si prova nemmeno più a sforzarsi di individuare quello che si può fare. Stanchezza intellettuale, rinuncia politica.
È in questa asfissia morale e materiale che sono prosperati (ma ne possiamo parlare al passato?) antipolitica e qualunquismo perché a un certo punto davvero ha prevalso, e non senza qualche ragione, l’idea che a Roma non ci sia nulla da fare: è condannata.
A un anno da un voto che segnerà comunque uno spartiacque fra la continuazione del vuoto strategico e la ripresa di pensiero e azione di innovazione, è ora che si cominci a lavorare sulle possibili soluzioni.
C’è da dire che il perdurante silenzio dei partiti e delle forze che si richiamano al riformismo getta una particolare inquietudine: e tuttavia in quell’area, la sola che in teoria potrebbe riaccendere le luci della Capitale, qualche ricetta viene fuori, anche se – va detto – circondata da un ché di utopistico. Ma ben venga anche l’utopia, nel deserto totale, se può alimentare un “concorso” di idee.
Ecco dunque che ci prova Marco Simoni, economista, romano, presidente della Fondazione Human Technopole, con un saggio sul Mulino (“La questione romana”) a fare il punto della situazione partendo da un’analisi della realtà della Capitale, una realtà che è molto più drammatica di quello che comunemente si può percepire, che il Covid ha certamente esasperato ma che preesiste da anni.
Attenzione – ci dice Simoni – la crisi di Roma non è un affare locale, per quanto si tratti di una città ovviamente importantissima, perché se non si coglie il nesso, persino morale, Roma-Italia, non si va da nessuna parte e se non si definisce la “questione romana” come grande “questione nazionale” non si otterrà mai quella mobilitazione economica e intellettuale che occorre per salvarla dalle sabbie mobili in cui è precipitata.
Roma è come una giungla, diceva Federico Fellini, ma per lui era una metafora con un ché di poetico – Roma “dove ci si nasconde”, e in fondo ci si salva, se sei bravo. L’immagine del regista oggi invece non è più un’immagine: è una giungla dove si lotta per la sopravvivenza, dove l’inclusione e la solidarietà sono saltate, dove regna un incattivimento crescente, una città senza più decoro, nella quale le ineguaglianze crescono si minuto in minuto (ed è qui il vero fallimento della politica).
Le buche nelle strade sono un problema reale ma soprattutto una perfetta evocazione del bradisismo morale di Roma.
Scrive Simoni: «La struttura economica della Roma di oggi, fondata largamente sul terziario e con una grande presenza di piccole aziende sottocapitalizzate, ha ulteriormente colpito la classe media che ha visto le aspirazioni di decine di migliaia di suoi figli frustrate e indebolite. Quella piccola borghesia ambiziosa, che era stata la spina dorsale della Roma che cresceva, vive oggi una crisi soggettiva profonda (…), e gli strati più deboli a loro volta soffrono in maniera crescente di modelli sociali costruiti su modelli del passato, con risorse insufficienti e nessuna politica contro le disuguaglianze».
Un fallimento su tutta la linea. Il grillismo ha nuotato sulla povertà di Roma e ne è stato travolto. Il giudizio di Simoni sulla Raggi è chiaro.
Dunque, l’autore individua nella “alleanza fra crescita e inclusione” la trama difficile di una nuova tela buona per il nostro tempo di crisi. Ripartire, dunque, contando sulle energie creative di cui la Capitale dispone e affidando a soggetti nuovi la creazione e la costruzioni di iniziative economiche in grado di far rinascere certe zone della metropoli secondo un’idea generale di trasformazione urbana al servizio della collettività.
Pubblico o privato? Dibattito vecchio. Ma vogliamo citare un aspetto: «Bisogna far tornare alla primaria responsabilità del pubblico la gestione delle questioni sociali», afferma Simoni. Se non si aggredisce il problema delle povertà, Roma non si smuoverà dal pantano.
Le idee ci sono, e Simoni entra nel dettaglio. Un Parco dell’innovazione, un polo della cultura, un focus di livello europeo per le energie sostenibili e la trasformazione verde. Ma chi ci pensa, chi lo fa? In un panorama politicamente desertificato – da Alemanno a Raggi passando per la surreale vicenda Marino – ove resistono eroicamente esperienze di volontariato e contrasto alla povertà, ancorché frammentate e intrinsecamente deboli, non ci sono più partiti né sindacati né altro.
Eppure, dice Simoni, «solo un percorso collettivo con regole di ingaggio trasparenti può portare a fattore comune le informazioni e le energie necessarie a una inversione della spirale in cui si trova la città, un percorso in grado non solo di ideare una campagna che duri il tempo di un’elezione ma di accompagnare una lunga stagione di rinascita».
Non basta insomma “un bravo sindaco o sindaca”: è certamente così, se si vuole puntare in alto. Ma intanto – diciamo noi – c’è da augurare ai romani di saperlo scegliere, un bravo sindaco, o sindaca.