«Per fare un buon olio extravergine d’oliva bisogna partire da olive sane e da una consapevolezza: con il lavoro di frantoio possiamo solo peggiorare la situazione». Il professor Alfredo Marasciulo, capo panel di comitato di assaggio riconosciuto dal MIPAAF e consulente per il miglioramento della qualità, mette subito al centro questa importante premessa, prima di addentrarsi nell’intricato regno di gramolatrici e frangitori, estrazioni a freddo e caldi stoccaggi.
La verità è che dietro una semplice bottiglia d’olio c’è tanto lavoro e tanto sapere. Ritenuto troppo spesso, con superficialità, un semplice grasso da cucina, l’olio extravergine d’oliva è uno degli alimenti più preziosi della dieta mediterranea sia a livello nutraceutico che culturale. Frequentemente viene ridotto a un prodotto civetta sui volantini da supermercato, che convincono i consumatori dell’equità di un prezzo impossibile per una filiera controllata, sana, impegnata nella valorizzazione di prodotto e impresa agricola. La domanda sorge dunque spontanea: come si produce un buon olio evo? La prima risposta è: dipende dall’obiettivo del produttore.
Come si fa un buon olio evo: la teoria
«Il frantoiano dovrebbe lavorare come un sarto – spiega Marasciulio – Dovrebbe adattare le macchine alle olive e alle caratteristiche dell’olio che si vuole ottenere. A volte invece nella pratica si procede in modo differente, per semplificare il lavoro adattando la lavorazione alle richieste di chi punta soltanto alla resa». Raccolte le olive bisognerebbe recarsi subito in frantoio per trasformarle nel minor tempo possibile, al massimo entro le 24 ore. A macchine ferme inoltre, bisogna valutare la pulizia del frantoio, importantissima per evitare proliferazioni batteriche, concausa di processi degradativi dell’olio. «Se un ristorante ha una cucina e le pentole sporche, non potrà preparare buoni piatti. La stessa cosa accade in frantoio. “L’odore di frantoio” non è una buona cosa: bisognerebbe cercare di lavorare affinché i profumi provengano solo dalle olive e non dall’ambiente di lavoro o dai macchinari utilizzati».
Scelto il frantoio in cui produrre il proprio olio, si presenta il primo bivio: qualità o quantità? «Molto spesso si va alla ricerca della via di mezzo, ma ogni scelta è legittima in base al proprio obiettivo. Quindi non c’è un solo modo giusto per produrre un buon extravergine d’oliva. Esistono tante strade giuste». Se si vuole un olio di grande qualità, si deve prima di tutto escludere tutti quei frantoi in cui la tecnologia di trasformazione adoperata è causa di ossidazioni o fermentazioni delle paste. Spesso i frantoi tradizionali, quelli che lavorano con molazza, fiscoli e presse presentano questi problemi. Meglio quindi indirizzarsi verso frantoi dotati di tecnologia di estrazione più moderna. Tra questi meglio privilegiare frantoi a due fasi che, utilizzando meno acqua durante il processo di trasformazione, riescono a produrre un olio più ricco di sostanze fenoliche.
Occhio alla temperatura: dovrebbe essere sempre inferiore ai 25 gradi per permettere agli enzimi di “lavorare” correttamente durante la trasformazione. Importante ricordare che la molitura delle olive non è un processo meccanico, bensì bioenzimatico: sono gli enzimi che svolgono la maggior parte del lavoro, ma se la temperatura di processo fosse troppo alta si potrebbe compromettere il risultato finale. «Meglio poi che la gramolazione non sia troppo lunga, perché in questo caso si ha un aumento della resa, ma si perdono i caratteristici profumi dell’olio. Lavorando il tempo giusto – tra i 25 e i 30 minuti – si può ottimizzare la resa conservando la componente aromatica dell’olio».
L’ossigeno è nemico del buon olio evo perché ossida la pasta e distrugge la preziosa carica polifenolica delle olive. Questa componente varia a seconda della cultivar e del livello di maturazione. Per questo la molazza – quelle grandi ruote di pietra che per prime frantumano le olive – è nemica dei polifenoli. Durante la lavorazione, esponendo la pasta di olive all’azione ossidante dell’ossigeno contenuto nell’aria, può ridurre sensibilmente il carico di questi preziosi agenti antiossidanti. Conseguentemente otterremo un olio sì più dolce, ma non per caratteristica tipica dell’oliva, ma solo per ossidazione, con una carica polifenolica molto più bassa.
Come si fa un buon olio evo: la pratica
La teoria è semplice e affascinante. Olive sane, molitura immediata dopo la raccolta, trasformazione a due fasi con poco ossigeno, con impianto pulitissimo, basse temperature, tempi di lavorazione regolati in base alle necessità produttive. La verità è che impostare i giusti tempi e temperature è difficile per la mole di lavoro che i trasformatori affrontano in ogni campagna. Quindi a volte si utilizzano tempi e temperature standard, che dovrebbe essere la giusta via di mezzo tra qualità e resa. Si gramola tra i 26-27 gradi per 30-45 minuti, tempo eccessivo secondo Marasciulo se si vuole garantire la massima qualità. «Il tempo di gramolazione si calcola spesso a partire dalla vasca piena, ma i tempi di riempimento e svuotamento incidono e, se si contano anche quelli, si capisce perché i profumi che c’erano, vanno perduti».
Sebbene la schiera di frantoi che produce olio extra vergine di altissima massima qualità che raggiunge traguardi di livello internazionale sia ormai sempre più folta, la scelta tra quantità e qualità in frantoio propende troppo spesso ancora a favore della prima. La ragione sta prima di tutto nell’economia di prodotto, poco premiante per piccoli e medi produttori. Secondo dati riportati nel rapporto “L’olio pugliese al tempo del Coronavirus”, la campagna olivicola 2020/2021 della regione ha prodotto olive di qualità eccellente, ma inferiori del 48 per cento rispetto all’anno precedente. Le cause: il clima, che ha oscillato tra maltempo e siccità, senza dimenticare gli effetti della Xylella, che ha di fatto devastato gran parte degli ulivi del Salento. Secondo Coldiretti Puglia si stima una produzione di circa 101 mila tonnellate di olio (nel 2019 erano state 194 mila). Tuttavia i prezzi oscillano pericolosamente, strozzando i piccoli proprietari terrieri che si orientano verso la ricerca di rese più alte. Ma anche lì, una volta trasformato, c’è il problema del prezzo dell’olio, viziato da un mercato ancora troppo fumoso.
Eppure qualcosa si muove. «Il settore oleario è forse quello che ha resistito meglio all’emergenza sanitaria – ha affermato il presidente di Coldiretti Puglia, Savino Muraglia, presentando le previsioni della campagna olearia 2020/2021 con il direttore regionale, Pietro Piccioni e il nuovo Assessore regionale all’Agricoltura, Donato Pentassuglia – C’è stato un calo solo del 2 per cento delle esportazioni di olio extravergine pugliese all’estero nei primi 6 mesi del 2020, quando la domanda estera di olio imbottigliato è arrivata soprattutto dagli Usa (+28 per cento) e dalla Francia (+42 per cento)». Il vero lavoro resta quello da fare sui consumatori: la cultura dell’olio dovrebbe insegnare a chi consuma cosa conta davvero. Il prezzo sarà il termometro di una consapevolezza nazionale ancora tutta da costruire.