La gestione del Covid in Italia ha evidenziato due grosse carenze della politica italiana: da un lato una scarsa capacità di anticipazione e intercettazione dei problemi da parte dell’attuale governo, dall’altro la risposta scadente delle regioni e dei governatori in termini di unità nazionale. Due considerazioni con cui Marco Bentivogli, ex segretario generale della Federazione italiana metalmeccanici (Fim Cisl), apre il suo intervento al Fesival de Linkiesta, a cui partecipa da remoto per la sua recente positività al coronavirus.
Proprio sulla praticità della gestione del virus da parte del governo Bentivogli sottolinea come l’app Immuni abbia sostanzialmente funzionato, è efficace, almeno nel suo caso. Ma pecca di efficienza: «Poteva essere pensata meglio, richiede comunque tempi lunghi e non è pratica. È lo specchio di un sistema sanitario vecchio, non digitalizzato», dice.
Certo, l’app come tutte le altre misure di risposta al Covid, non poteva essere subito impeccabile, per funzionamento, semplicità e rapidità, perché il virus ha sorpreso tutti, ha condotto l’Italia – come tutti gli altri Paesi – verso scenari inaspettati, ma «è pur vero che dal primo lockdown, cioè dalla prima ondata di contagi, abbiamo dimostrato di non aver imparato niente, né nel tracciamento dei contatti, né nella gestione dell’app, né nella gestione delle tante positività», spiega Bentivogli.
Al fianco della crisi sanitaria c’è quella economica, che anche in questo caso è comune a tutti i Paesi, ma per l’Italia pesa ancor di più. «Sull’economia – dice l’ex sindacalista – il governo è stato disastroso: più che controllare e risolvere i problemi economici ha cercato di controllare quelli sociali, quindi evitando le proteste, tramite l’erogazione di fondi a pioggia. Ma così facendo chi aveva davvero bisogno di aiuto e ne aveva bisogno anche velocemente non è stato aiutato».
È qui che entrano i gioco le regioni, che hanno contribuito a scombinare ulteriormente le carte. Lo scaricabarile di chi vuole far ricadere le responsabilità sul governo e poi avere mano libera in altri momenti è incoerente. Lo si è visto anche con l’ultimo protocollo: l’idea iniziale era di lasciare l’onere della decisione a Roma, ma una volta firmato il protocollo e visti i provvedimenti effettivi sono iniziate le proteste.
«Le regioni sono un fallimento istituzionale. Sono centraliste quando c’è da gestire responsabilità e situazioni complesse; diventano molto autonomiste quando vogliono gestire le nomine e i manager.
Sono l’istituzione che dovrebbe diminuire la distanza tra il governo centrale e il cittadino, ma finora hanno fallito», dice Bentivogli.
E a proposito di distanza, l’ex sindacalista della Federazione metalmeccanica interviene anche sull’apparente mancanza di comunicazione tra sindacati e industriali di questo periodo, e della conseguente ondata di scioperi. «La premessa da fare – spiega Bentivogli – è che in Italia il lavoro industriale di qualifiche medie è chiaramente sottopagato: un terzo livello metalmeccanico guadagna 1280 euro netti, se non meno. Ed è inaccettabile. Poi è vero che questo dovrebbe essere il momento per dialogare, per portare avanti la contrattazione perché è chiaro che è una necessaria. Però queste cose si fanno sempre tra due parti, e se dall’altro lato ci sono troppe rigidità non c’è contrattazione. Non può esserci».
Se dal punto di vista della contrattazione tra sindacati e industrie non si fanno progressi, Bentivogli vede un immobilismo simile anche se si guarda il mondo industriale attraverso la lente della sostenibilità. Non tanto e non solo per mancanza di strumenti o di tecnologie. È una mancanza di volontà o di comprensione del mondo industriale da parte della politica.
«Si parla anche di acciaio green, ma al momento è uno slogan. Nel senso che non significa nulla. O meglio, l’acciaio si può produrre in maniera ecosostenibile, certo. Nell’ultimo piano industriale ad esempio si parla di ridurre la quota di acciaio da altoforno per aumentare quella proveniente da forni elettrici. Che però è un cambiamento finto se poi l’elettricità prodotta per far funzionare quei forni è prodotta da energie fossili», dice Bentivogli.
L’intervento di Marco Bentivogli a Linkiesta Festival è anche l’occasione per parlare dei colletti blu degli Stati Uniti, che soprattutto con il voto in Michigan – in particolare nell’area di Detroit – hanno cambiato colore rispetto al 2016 e votato in maggioranza per il candidato democratico Joe Biden.
La spiegazione che dà Bentivogli è diretta, chiara, palese: «È la dimostrazione che il sovranismo economico è una fregatura». L’ex sindacalista ha raccontato che anche i rappresentanti del sindacato dell’auto statunitense nel 2016 avevano fatto una scelta di campo chiara, perché non sentivano più la fiducia di una certa parte della sinistra, di quell’establishment rappresentato da Hillary Clinton.
«Ma con Biden – spiega Bentivogli – oltre ai contenuti credo sia stata fondamentale la grande mobilitazione che c’è stata intorno al candidato. Sanders ha lottato per Biden e insieme a Biden dopo le primarie. E Obama, che inizialmente aveva sconsigliato a Biden di candidarsi, è stato uno di quelli che ha lavorato perché i democratici si mobilitassero. E questo ha fatto sì che i colletti blu americani avessero una scossa in più dopo aver capito che quel sovranismo di Trump è una fregatura, hanno capito che le operazioni sui dazi in realtà hanno il fiato corto, e che i benefici economici per i lavoratori si sono interrotti subito. Allora è evidente che il voto populista è un voto contro il popolo. È accaduto lo stesso con la Brexit. E qui si vede un grande errore della politica italiana, almeno di quella parte della politica che dovrebbe essere in grado di spiegare con l’evidenza dei fatti che questo populismo non ha valore».
Quest’ultima affermazione è il viatico per parlare della scarsa capacità attrattiva dei partiti politici italiani – «che si stanno caporalizzando, perdono contenuti, non hanno capacità di smuovere passioni» – e quindi per parlare del suo impegno con Base, che vuole arricchire il dibattito politico «senza dover per forza aggiungere un altro partito alla competizione». Perché, secondo Bentivogli, due fattori hanno contribuito alla disaffezione della politica: «La prima è l’antipolitica, quella lotta anticasta che aveva creato mobilitazione ma poi si è rivelata insignificante, peggiore della casta a cui si opponeva. E l’altra è stata l’incapacità di ripensarsi, di rinnovarsi, della politica. Noi ancora adesso sentiamo un discorso di Macron o Merkel e siamo pronti a etichettare dicendo che sono di destra o di sinistra o di centro. Io non sono esterofilo, ma a differenza di altri Paesi qui non abbiamo capito che si può fare politica in senso nobile. E questi due elementi negativi si combattono facendo interessare le persone alla politica, perché più partecipano e più la qualità della politica e il benessere del Paese crescono».