Tratto dall’Accademia della Crusca
Sono molti i lettori che pongono domande intorno all’uso del pronome personale te: si può usare anche come soggetto? Se sì, lo si può fare in qualsiasi contesto o solo in particolari condizioni? Si tratta di un fenomeno regionale o dell’italiano comune?
Risposta
Gli stessi utenti, con la formulazione delle loro domande, ci guidano nell’analisi di questo fenomeno in atto nell’italiano. Con la loro competenza di parlanti nativi sono riusciti infatti a intravedere le diverse ragioni che hanno portato allo spostamento del pronome personale te dalla pressoché esclusiva funzione di oggetto (e complemento indiretto preceduto da preposizione) a quella di soggetto in particolari contesti e in determinate aree italiane (ormai decisamente estese). Un’espansione che già molti anni aveva indotto Edoardo Blasco Ferrer a questa previsione: “non è necessario essere un futurologo di professione per intuire che l’italiano del Duemila possederà saldamente la struttura io e te e forse anche l’impiego esclusivo del te come soggetto” (Io e te in “Studi linguistici italiani”, XVIII 1992, pp. 45-71) e che, molto recentemente, ha fatto dire a Luca Serianni: “te ha abbastanza carte da giocare” (Il sentimento della lingua, Bologna, il Mulino 2019, p. 75). Proviamo allora a scoprire queste carte e, seguendo la traccia delle domande poste, cerchiamo di analizzare come e perché è avvenuta, e sta ancora procedendo, questa presa di campo di te a scapito di tu.
Partiamo dalla norma, dalla grammatica, e dalle domande in cui è posto il problema della “correttezza”: “Si può usare te come soggetto? quando è corretto usare te al posto di tu?”; “Il mio amico sosteneva che te, al posto del soggetto tu, fosse un’alternativa, per cosí dire, ‘standard’ al soggetto tu”; “si sente continuamente in tv te invece di tu (te fai, te vai, te vieni…). È possibile che nessuno intervenga per correggere?”.
Le regole che troviamo nelle grammatiche partono dallo schema tradizionale dei pronomi personali indicando, per la seconda persona singolare, le due forme, tu per il soggetto e te per gli altri complementi; questa rassicurante distinzione iniziale è seguita da alcune precisazioni che immediatamente suggeriscono quanto la “regola” sia mobile e soggetta a variazioni. In primo luogo, ci sono le eccezioni contemplate dalla stessa norma (cfr. Serianni 2000, VII, 9): paragoni di uguaglianza, “faccio come te”; espressioni esclamative, “povero te!”; quando il pronome ha funzione predicativa rispetto a un soggetto diverso, “vuole essere te in ogni cosa”; con un participio assoluto, “te compreso”; nell’uso letterario in forme latineggianti di accusativo+infinito “E se conoscerai te non essere non uomo” (L.B. Alberti, Libri della Famiglia, Libro I, 24). Già da questi casi si deduce come il sistema dei pronomi personali dell’italiano non sia così stabile relativamente alla distribuzione funzionale delle sue forme. Un cambiamento ormai avvenuto e acquisito anche dai grammatici è quello del sopravanzamento delle terze persone singolari e plurali lui/lei/loro soggetti rispetto ai canonici egli/ella/essi: tale spostamento ne favorisce di analoghi per altre forme, come appunto per la seconda persona tu/te. E questa è una spinta forte nella direzione di una convergenza a un’unica forma, specialmente in una lingua come l’italiano in cui l’esplicitazione del pronome soggetto non è obbligatoria e, ancor più facilmente alla terza persona, in cui egli/lui (e i corrispondenti plurali essi/loro) possono essere sostituiti da un nome, passaggio non consentito per le prime persone. Si tratta di un altro fattore che, in questo processo già notevolmente avanzato, favorisce la forma te, presente in costrutti in cui si intende mettere in rilievo, dare incisività al soggetto, in particolare quando si trovi in una posizione sintattica non regolare, dopo il verbo (“lo dici te”) o, come vocativo, fuori dal nucleo della frase (“beato te!”).
Nonostante il “movimento” in atto, alcune grammatiche mantengono indicazioni nette (e non solo nei manuali scolastici, tradizionalmente più conservatori), come ad esempio quella di Aldo Gabrielli nel suo Il piacere dell’italiano (Milano, Mondadori, 1999, p. 71, il cui testo è sostanzialmente analogo a quello citato in rete e facilmente consultabile nel sito del “Corriere della Sera”):
È corretto dire, come molti dicono, hai ragione te, vieni anche te? Dubbio presto risolto: bisogna dare del tu, non del te, e dire hai ragione tu, vieni anche tu. La grammatica insegna che il pronome personale tu è d’obbligo come soggetto, mentre te si usa nei complementi, come quando diciamo “io (soggetto) partirò con te (complemento di compagnia)”.
Una maggiore attenzione all’evoluzione in atto dimostrano Valeria Della Valle e Giuseppe Patota (Senza neanche un errore, Milano, Sperling & Kupfer, 2006, p. 10):
Oggi c’è una forte tendenza a usare la forma te come soggetto al posto di tu. Spesso si sente dire, soprattutto al Nord: “Te canti”, “Te sei simpatica”, laddove la norma grammaticale ha sempre richiesto “Tu canti”, “Tu sei simpatica”. […] Molti avvertiranno la nuova abitudine come una sgrammaticatura, ma questa è analoga a quella che, per il soggetto di terza persona, ha visto affermarsi la forma lui ai danni di egli. Il nostro consiglio è di evitare (ancora per qualche anno, fino a quando non si sarà completamente affermato) l’uso di te come soggetto esclusivamente nella lingua scritta di tono sorvegliato, accogliendo in questa solo il tipo “Tu vieni con noi?” “Tu non puoi venire”.
Stefano Telve poi (Enciclopedia dell’italiano Treccani, Prontuario, 2011, p. 1675, disponibile anche in rete) registra altri contesti in cui te soggetto avrebbe conquistato posizioni rispetto al tu nell’italiano contemporaneo:
a) “obbligatoriamente e in tutt’Italia, dopo le congiunzioni e e o” (ormai riconosciuta la correttezza di “io e te”, si veda a tale proposito la scheda di Matilde Paoli su io e te);
b) “a livelli colloquiali, in frasi interrogative e imperative” (“te da dove vieni?”, “te torna qua”);
c) “quando il soggetto è dopo il verbo” (“lo dici te”), la posizione post-verbale, tipica del complemento oggetto, favorisce questo passaggio;
d) “in posizione più marcata, prima del verbo, a inizio di frase” (“te prova ad andar sotto un camion”, Francesco Guccini, I fichi).
Gli ultimi tre punti presi in esame da Telve riguardano costrutti focalizzati che, dal parlato di registro informale, dove l’intonazione contribuisce in modo determinante alla marcatezza del pronome, tendono a filtrare nella scrittura o per intenti consapevoli di mimesi della lingua parlata, o per influsso del mezzo utilizzato (si pensi solo agli usi immediati e informali del linguaggio della rete). Data la natura deittica del pronome di seconda persona, quindi la necessità, all’interno dello scambio dialogico, della presenza, reale o virtuale, dell’interlocutore, queste forme compaiono in contesti in cui ci si può rivolgere a un “tu” ascoltatore o lettore, in cui – come ha ben sintetizzato Enrico Testa – si ha la «messa in scena dell’enunciazione “parlata” e della lingua in azione dei suoi protagonisti» con la presenza frequente di moduli di forte oralità (E. Testa, Lo stile semplice, Torino, Einaudi, p.138). Questo comporta che, nella scrittura, il luogo naturale per queste forme sia il discorso diretto (o la sua simulazione); inoltre, come accennato, il te soggetto è caratteristico di registri colloquiali e informali: condizioni decisamente difficili da isolare in una ricerca su banche dati testuali o addirittura in rete, anche senza considerare la difficoltà di distinguere i te soggetto da tutti gli altri ruoli che il pronome può ricoprire. Valutare quantitativamente l’incidenza di quest’uso in rete risulta dunque pressoché impossibile, troppi i fattori di “rumore”. Possiamo provare a farci un’idea molto approssimativa attraverso coppie di stringhe in cui si alternano tu e te.