A guardare il numero di fallimenti delle imprese italiane, il 2020 sembra un anno di grazia, con il crollo del 41% dei dossier presentati tra gennaio e settembre. Ma non è un fattore di solidità, bensì un risultato legato a fattori di natura eccezionale che nasconde una realtà ben diversa, spiega Il Sole 24 Ore.
Il 2021, a giudicare dalle stime di Cerved Rating Agency sulle probabilità di default del sistema, potrebbe segnare infatti una brusca inversione di rotta. Il tasso di rischio stimato nell’era pre Covid, al 4,5%, nelle attese salirà al 6% a fine 2021. Un balzo che vale il 34% e che sintetizza le difficoltà a cui potrebbe andare incontro il sistema delle imprese. Sull’orlo della chiusura ci sarebbero 115mila imprese con una proiezione occupazionale di circa 300mila addetti.
Secondo lo studio, i peggiori risultati si avranno nel settore del turismo e dei servizi di ospitalità e somministrazione di cibi, che a fine 2021 saranno ancora 40 punti al di sotto dei livelli pre-Covid. Se lo scorso febbraio nell’area di solvibilità gravitava il 56% delle imprese, questa quota ora si riduce a poco più del 50%.
Nel complesso, la probabilità media di default passa dal 4,% di febbraio al 5,1% di fine 2020 per poi salire al 6% al termine del 2021. I rischi maggiori si stimano al Sud e nelle isole, dove il tasso di default probabile sale al 7,3-7,5%, mentre nelle aree più virtuose di Nord Est e Nord Ovest si scende al 5,5-5,7%.
Resta meno a rischio la manifattura rispetto all’area vasta di costruzioni e servizi. Per alberghi, ristoranti e turismo si intravedono le prospettive più cupe, con tassi di probabilità di default che arrivano anche al 14%: significa che un’azienda su sette rischia di andare a gambe all’aria. Nelle costruzioni è appesa a un filo un’azienda su dieci, con il rischio che se la campagna vaccinale dovesse protrarsi oltre le attese questo valore possa continuare a salire.
Altra variabile discriminante, poi, è la dimensione d’impresa. Più è grande, minore è il rischio di default. A subire i maggiori pericoli sono invece le microimprese, con un livello di rischio che è quasi il triplo rispetto alle big.