Un anno fa Beppe Sala, sindaco di Milano, chiese un «governo dei migliori». Oggi, sul neo governo Draghi in un’intervista al Corriere dice: «Vedo alcune cose positive. Ci sono competenze-chiave tra i tecnici portati a bordo. In alcuni ruoli decisivi ci sono persone molto capaci». Come «Cartabia, Giovannini, Franco, Colao. E sono contento per Maria Cristina Messa, ex rettrice di un’università milanese».
Poi ci sono i politici. E soprattutto, dice, c’è «troppa differenza tra uomini e donne». E «ritengo che sia più colpa dei partiti che di Draghi». A partire dal Partito democratico che schiera tre uomini su tre, quattro su quattro con LeU. Cosa che ha provocato le critiche delle donne Dem.
«E hanno ragione», dice Sala. «Arrabbiarsi è giusto. È una delusione. Questo è il turno della stigmatizzazione del Pd; ma prima è toccato ad altri. È proprio la cultura dei partiti che è così. In Europa ci sono Paesi guidati da donne forti; ma dal punto di vista culturale l’unica eccezione sono i Verdi europei, che per statuto e per volontà si sono dati un equilibrio di genere».
Per il Pd «è un passaggio deludente. Però non tutto il Pd è così. A Milano su 21 consiglieri comunali del Pd, undici sono donne. La giunta è in equilibrio, il vicesindaco è una donna». Zingaretti intanto annuncia che saranno donne tutti i sottosegretari. Sala dice: «Spero sia l’ultima volta in cui si possano commettere errori del genere».
E anche vero che ci sono molte donne in consiglio comunale perché la legge prevede la parità in lista. «Sì, ma il punto è come si scelgono. Il rischio è che le donne diventino riempilista», dice Sala. «La mia avrà due capilista, e la numero 1 sarà una donna, Martina Riva, che a 27 anni ha già una grande esperienza politica. Mi rivolgo a tutte le liste che mi appoggiano: andrò a guardare la qualità dell’offerta, verificherò che ci siano donne in grado di prendere voti e di assumere responsabilità. Dobbiamo dare il buon esempio: mi propongo nel prossimo mandato di lavorare ancora di più sulla parità».
Ma non c’è solo il Comune, ci sono le aziende: Atm, Sea, A2a. Dove comandano uomini. «Bisogna fare di più, in termini di management, e anche di acquisti, contratti, gare. È giusto dare appalti alle aziende al femminile. Già oggi il 40 per cento dei dirigenti del Comune di Milano sono donne. Dobbiamo lavorare perché Milano diventi città della parità».
Ma il prezzo della pandemia l’hanno pagato soprattutto le donne. «E di questo passo ci vorrebbero vent’anni per raggiungere l’equilibrio della rappresentanza politica, e settant’anni per la parità di retribuzione. Si deve accelerare; altrimenti la partita è persa».
E con il Recovery plan, «siccome tenderà a essere un piano di investimenti sulle infrastrutture, è possibile che di nuovo si privilegi l’occupazione al maschile. Chiedo: vogliamo solo lavarci la coscienza? O siamo convinti che ci sia un vantaggio a investire sulle donne? Io non ho dubbi che questo vantaggio ci sia».
Il modello nazionale del governo «tutti dentro», però, non potrà essere replicato a Milano – assicura il sindaco. Che racconta di aver sentito Draghi nei giorni scorsi: «Ci siamo sentiti e messaggiati durante la formazione del governo. Non posso che ribadire la mia profonda stima e la consapevolezza che lui fosse l’unico a poter fare una cosa del genere. In tv quindici giorni prima mi avevano chiesto se un nuovo governo Conte fosse l’unica soluzione; avevo risposto di no, pensando che non c’era nessuno più preparato di Draghi. Non possiamo che nutrire speranza».
Al nuovo governo Sala chiede «una gestione rapida ed efficiente del Recovery Plan. I posti di lavoro che oggi perdiamo non si recuperano in breve tempo. A me, o a chi sarà eletto sindaco, spetterà il compito di creare altro lavoro. Non penso che la gente non vorrà più vivere nelle città, non penso che Milano pagherà una crisi permanente. È chiaro però che ci saranno un paio d’anni di grandi difficoltà. E tutti i sindaci sono nella stessa condizione».
E «al netto di situazioni particolari legate al Covid», Sala chiede a Draghi di votare per le comunali a Milano «alla scadenza naturale, cioè a maggio. So che a Roma la Raggi è d’accordo. Sento parlare di spostare le elezioni a dopo le vacanze. Non va bene. Quando si va in campagna elettorale le tensioni aumentano, il funzionamento della macchina politica si fa più complesso. Non possiamo aspettare l’estate».