L’associazione Jeunes Restaurateurs d’Europe è una delle più attive nel nostro Paese e porta avanti con determinazione le attività, pur nell’incertezza del momento. Nata in Francia nella metà degli anni Settanta, JRE è l’associazione che raccoglie i più giovani e rappresentativi chef dell’alta gastronomia, accomunati dall’amore per la cucina e dal desiderio di condividere esperienze e valori. Oggi conta più di 350 ristoranti affiliati, distribuiti in 15 paesi differenti, di cui 74 solo in Italia.
Tutti i suoi associati sono chef ma prima di tutto imprenditori, e dal loro ruolo imprenditoriale ci hanno raccontato come sanno vivendo la crisi e come la stanno affrontando, cercando di sostenersi a vicenda e provando a rimanere in equilibrio tra aperture e chiusure altalenanti.
Filippo Saporito, chef de La Leggenda dei Frati a Firenze e Presidente della delegazione italiana è seriamente preoccupato: «Dal punto di vista associativo viviamo in questo limbo di incertezza causato anche dalle differenze imprenditoriali di tutti noi. Abbiamo cercato di incoraggiarci vedendo che la situazione critica è a livello mondiale, nessuno escluso, e soprattutto avendo la consapevolezza del fatto che non è stata causata da nostre decisioni imprenditoriali».
Continua Saporito: «Sicuramente se dovevamo essere messi alla prova come imprenditori, ecco che chi riuscirà a sopravvivere potrà essere messo sui libri di storia. Riuscire a coniugare imprenditoria con la figura dello Chef, che unisce anche un certo rapporto stretto con i propri collaboratori, rimane molto impegnativo in momenti come questi, di forte incertezza economica e lavorativa. Credo che sia chiaro che fino all’arrivo delle temperature calde e ad una buona copertura vaccinale della popolazione non potremmo fare altro
che vivere in questa situazione di alternanza tra periodi di chiusura e
leggere aperture».
Legato al lavoro e sempre concentrato sull’obiettivo Massimiliano Mascia, chef dello storico Ristorante San Domenico di Imola, che spera che questa crisi non sia la scusa per abbassare il livello e lasciare spazio a compromessi: «Essere chef e imprenditore significa coniugare il meglio dal punto di vista economico senza però abbassare minimamente la qualità della materia prima, del servizio e della ricerca del dettaglio. Nel momento in cui si sceglie materia prima di qualità inferiore per risparmiare si commette il primo errore, il secondo è quello di pensare che un prodotto più costoso sia più buono di uno che costa meno. Ogni prodotto ha il suo valore dato dalla stagionalità e dal territorio. Ad esempio gli asparagi ad Aprile costano 1/4 rispetto a dicembre, stessa cosa per le fragole ma questo non vuol dire che siano migliori quando il prezzo è più alto. Quindi un bravo chef e imprenditore utilizzerà questi prodotti solo durante la loro stagione avendo così un risultato migliore a un costo minore».
Perché mettersi al servizio del cliente, oggi più che mai, è la strada da intraprendere: «In questo contesto storico invece a mio parere momento significa valutare attentamente come muoversi, facendo attenzione al personale e a quali decisioni prendere su aperture e chiusure. Credo che avendone la possibilità in alcuni periodi del recentissimo passato valesse la pena aprire anche rimettendoci qualcosa perché è molto importante la fidelizzazione del cliente che ci ripagherà nei prossimi mesi/anni. Fargli vedere che nonostante le mille difficoltà decidiamo di esserci credo che per il cliente sia un valore aggiunto e per il Ristorante una sorta di investimento per il post pandemia».
Anche per lui la gestione politica del momento non è adeguata: «Viviamo la situazione attuale tra mille incertezze e siamo in una sorta di stand by imposto purtroppo da una situazione politica instabile dove mancano idee e progettualità. Noi nel nostro lavoro siamo abituati a pensare veloce e invece ci troviamo ostaggi di una classe politica troppo impegnata in discussioni che non generano progresso ma al contrario bloccano le imprese italiane e di conseguenza le famiglie. Se al centro delle idee futuro ci saranno le aziende, il made in Italy, la valorizzazione della filiera agroalimentare italiana e del turismo saremo in grado di ripartire. Purtroppo ad oggi tutto questo sembra molto lontano ma come sempre saranno gli imprenditori ed i lavoratori italiani a tirar fuori il meglio di questo Paese».
Stessa opinione e convinzione anche dalla Sardegna, con lo chef Luigi Pomata, principe del gusto cagliaritano: «Dobbiamo essere attenti a ogni piccolo dettaglio, non possiamo tralasciare nulla, nessuno paga i nostri conti o i nostri capricci, si diventa economi e specialisti di food cost. I ragazzi sono parte integrante della famiglia, ti preoccupi delle loro risorse economiche davanti a fondi di sostegno che non arrivano, cerchi di fare il possibile e spesso ti accorgi che riesci anche nell’impossibile. Credo che niente come questo anno ci abbia insegnato bene quanto siamo forti, pazienti e resilienti. Io aspetto con fiducia».
Ma con un tocco in più di ottimismo, e la volontà di guardare oltre: «Il mondo della ristorazione e tutte le attività che ruotano intorno ad esso stanno attraversando un periodo drammatico, continuo a conservare un po’ di ottimismo in attesa di tempi migliori anche se non nego che piano piano tutto diventa sempre più grigio, ormai è quasi passato un anno. Probabilmente tante aziende non resisteranno, credo che tante cose si ridimensioneranno ma chi è competente riuscirà a ripartire le persone hanno bisogno di normalità e appena ne avremmo uno spiraglio passerà anche la paura».
Ma essere chef imprenditori, a prescindere dal momento contingente, significa innanzitutto mettere insieme due anime, cercare di far coesistere due identità diverse, come ci ricorda Stefano Di Gennaro, del Ristorante Quintessenza a Trani (BT): «Essere chef imprenditore significa far convivere due ego, uno ispirato dalla passione di una vita che va ben oltre i soldi e l’alter ego che deve realizzare un modello di business ben preciso e sostenibile, avendo controllo, responsabilità, impegni, apprensioni, obiettivi da raggiungere; è una parte importante della tua vita anche questo ma quando scende in campo la passione, appunto, poi in cambio ricevi emozioni e soddisfazioni personali».
E ai tempi del Covid? «È un rischio che non avevamo mai considerato prima, ma si continua a credere in quello che si fa con coerenza e onestà, mi faccio carico di responsabilità che mi competono ricordandomi di chi ha contribuito alla mia attività di impresa, dipendenti, i fornitori di sempre, pianificando con loro la ripresa con la professionalità e la serietà che hanno sempre contraddistinto il nostro modus operandi nei confronti di tutto ciò che gravita nell’orbita ristorazione. Così saremo pronti a venir fuori da questa situazione nel miglior modo possibile».
Una bella visione di insieme che sicuramente aiuterà sul lungo periodo e darà modo a tutti di essere pronti al risorgimento: «Oggi siamo tutti spaesati, inquieti, incerti, non sappiamo quanto durerà e cerchiamo una razionalità che è difficile trovare ma una cosa certa è che la ristorazione avrà futuro, ha superato tutte le crisi che nei tempi ha dovuto fronteggiare perché i ristoranti sono sempre stati considerati in fondo come luoghi in cui rifugiarsi quando si è alla ricerca della qualità e benessere dei sensi. Quando riapriremo le porte saranno gli ospiti a rispondere di quelli che saranno i nuovi bisogni, la nostra proposta sarà adeguata a garantire un’ospitalità piacevole in tutto, riprenderemo la missione che già ha caratterizzato la ristorazione negli ultimi anni, quella di contribuire con i nostri gesti a fare qualcosa per le generazioni future, a custodire i ricordi, a condividere con orgoglio le ricchezze e la storia del territorio, ad acquistare materie prime avendo a cuore il tema dell’ambiente organizzando menu a che si concentrano su alimenti a bassa emissione di carbonio quindi i prodotti stagionali e dalla provenienza più locale possibile».
Più concreta la visione di Tommaso Arrigoni del ristorante milanese Innocenti Evasioni: «Essere uno chef imprenditore vuol dire dover lasciare spesso da parte il cuore e i desideri per prendere decisioni in grado di far quadrare i conti. Non sempre i desideri corrispondo al business. L’idea è riuscire a raggiungere un giusto compromesso tra questi aspetti, tra la follia di uno chef molto bravo nel suo lavoro culinario e la parsimonia, o capacità amministrativa, di un imprenditore per arrivare a un bilancio che sia almeno in pareggio. Oggi più che mai dobbiamo essere in grado di capire come muoverci, anche contro ogni desiderio, essere consapevoli che il nostro business, portato avanti negli anni, è ben definito e non è semplice inventarne uno nuovo dal nulla. Ci vuole uno studio ben preciso. Tutto questo oggi non è impossibile, ma molto rischioso poiché significa mettere a rischio quella che è la nostra normalità quando potremo tornare a viverla. Bisogna essere lucidi e, arrivati a questo punto, non è facile. Ai miei ragazzi dico di resistere per poi ripartire più forti di prima.
La sua è forse la visione più toccante, e ci fa capire fino in fondo quanto questo momento abbia inciso profondamente sulle persone che fanno questo mestiere e vivono di accoglienza: «Quello che provo nei confronti della situazione che stiamo vivendo è un senso di smarrimento, non capisco dove stiamo andando e, quindi, non riesco ad avere una prospettiva chiara e concreta. Penso, però, che ormai la decisione di farci aprire non sia più un’opzione rimandabile ma una scelta obbligata, anche se con restrizioni da identificare. Aprire a pranzo non vuol dire aprire, non permette a una attività ristorativa di sopravvivere pagando dipendenti e spese, anche perché il vero lavoro si riduce al weekend. Così un business non sta in piedi e spero in un ritorno alla normalità per il prossimo 5 marzo».
Una visione imprenditoriale condivisa da Paolo Donei del ristorante Malga Panna a Moena (TN): «Equilibrio, questa è la parola chiave: essere bravi a comprendere la situazione che stiamo affrontando e come la stiamo affrontando. Diciamolo, la figura dello chef che appoggia la fogliolina nel piatto è l’ultima cosa da guardare adesso. La situazione è tutt’altro che felice, inutile negarlo. Io però voglio essere positivo e penso che si debba trovare una strada per ripartire. Ogni Regione è diversa, la nostra ha ampi spazi e distanze, poche persone e paesini con 2000 anime che stanno morendo perché tutti in depressione. O ripartiamo, oppure rischiamo veramente troppo. Se dobbiamo convivere con questa situazione è obbligatorio fare qualcosa e cambiare la nostra offerta per rispondere al cambiamento in atto e alle esigenze diverse: la risposta può essere trovare soluzioni e formule alternative per poter lavorare».