«Tutti i rettori vorrebbero riaprire le loro aule, ma la situazione – lo dico anche da medico – consiglia cautela. Mi auguro che dopo il 6 aprile anche gli atenei possano tornare verso la normalità». A dirlo al Corriere è Cristina Messa, ex rettore dell’Università Bicocca di Milano, da due settimane ministra dell’Università del governo Draghi.
Messa ha già scelto i vertici di tre enti di ricerca (Ingv, Inrim e Area science park di Trieste) e si avvia a nomina anche il nuovo presidente del Cnr. Tra le priorità che dovrà valutare c’è però anche quella della ripresa delle lezioni in presenza nelle università. Questo, almeno, nel breve periodo. Ma poi servirà uno sguardo più lungo sui progetti del Recovery Plan.
«Innanzitutto spero che in cinque anni il numero di laureati possa crescere dall’attuale 27,6% (tra i giovani fino a 34 anni) almeno fino al 35%. Purtroppo scontiamo un grande ritardo: avremmo dovuto arrivare al 40% lo scorso anno secondo gli obiettivi europei», dice.
Come si fa? «Investiremo per fornire a un numero maggiore di giovani percorsi universitari più adeguati al futuro. Penso alle lauree interdisciplinari, senza percorsi rigidi ma che mischino le diverse materie dei dipartimenti perché oggi le sfide che abbiamo davanti richiedono competenze in più discipline. E credo che vada dato più spazio anche alle soft skill nel curriculum. Sono già al lavoro anche per creare corsi di laurea innovativi e legati al mondo produttivo».
Ci poi gli Its di cui ha parlato Mario Draghi nel suo discorso al Senato. «Con i ministri Colao e Bianchi stiamo studiando un piano per gli Its ma immagino anche lauree innovative che siano collegate al mondo produttivo, per l’ingegneria e anche per il turismo», risponde la ministra. Che immagina la creazione di «percorsi accademici veri e propri, triennali, legati anche alla ricerca». Da ripensare, dice, anche il ruolo delle lauree triennali, perché «oltre la metà degli studenti con la triennale poi si iscrive alla magistrale».
Ma per aumentare gli immatricolati ci vogliono anche misure per il reddito. «Con fondi del Recovery plan le università potranno costruire nuovi campus per accogliere gli studenti», spiega la ministra. «Ma penso anche a borse di studio per i meritevoli o chi ha bisogno. Credo anche che per aumentare gli studenti bisognerà aumentare i docenti. Un solo dato: in Gran Bretagna il rapporto professori studenti è uno a dodici, da noi uno per 35».
Investire nelle materie Stem – Scienze, tecnologia, ingegneria e matematica – è uno degli obiettivi di questo governo. I numeri sono bassi soprattutto tra le ragazze. «Ci vuole più orientamento nelle scuole superiori: purtroppo è anche un problema culturale. Per esempio, io gli studenti che vogliono fare medicina li porto in reparto prima che scelgano: è un metodo infallibile», racconta la ministra.
E poi servirà un cambio di passo negli investimenti per la ricerca: «Siamo 27esimi in ambito europeo: servirebbero almeno 50mila nuovi ricercatori. Scontiamo anni di sottofinanziamento, di progetti discontinui e di disorganizzazione. Una prima soluzione a portata di mano è quella di favorire la mobilità dei ricercatori tra università, enti di ricerca e privati. Questo potrebbe rendere più attivo e competitivo l’intero sistema: vuol dire adeguare gli stipendi e le carriere, ma anche sburocratizzare, far circolare i ricercatori, rendere tutto più trasparente». E «per attrarre ricercatori servono infrastrutture, laboratori e certezza della carriera».
Ma sui posti per il corso di laurea in medicina – 13.500 lo scorso anno – non ci saranno variazioni: «Resteremo su quella cifra. Il problema al momento sono le specializzazioni: ancora oggi abbiamo quasi quattrocento posti liberi perché ci sono alcune specialità molto importanti, come anestesia e microbiologia, per le quali non ci sono candidati».