Tra le conseguenze immediate, che si spera possano attenuarsi nel lungo periodo, dell’uscita del Regno Unito dalla Comunità Europea e delle difficoltà burocratiche di queste prime settimane, si registrano interruzioni repentine e a medio lungo termine dell’esportazione verso i paesi europei di ogni sorta di prodotto inglese. In teoria, grazie agli accordi doganali sottoscritti a fine 2020, non dovrebbero esserci problemi, tuttavia, nella pratica, si sta prefigurando uno degli incubi che i produttori e distributori al di là e al di qua della Manica temevano.
Sugli scaffali di numerosi negozi del continente scarseggiano tantissimi prodotti provenienti dal Regno Unito e ci sono addirittura casi di punti vendita filiali di catene britanniche che, non riuscendo a riassortire la quasi totalità delle referenze, preannunciano chiusure temporanee in attesa di sviluppi, con conseguenze anche per i loro dipendenti lasciati a casa.
Basta leggere l’apposita sezione di notizie legate alla Brexit, sul sito ufficiale di una delle catene inglesi che ha due negozi sul continente, precisamente in Belgio e, guarda caso, nei dintorni di Bruxelles, per rendersi conto della gravità del problema.
Quasi fosse un bollettino di guerra, nell’arco di pochi giorni si passa dall’euforia di vedere garantite le forniture importate, ad assicurare che le merci arrivano in percentuali adeguate, per poi comunicare, con rammarico, di non riuscire a ricevere diverse merci, fino a dover annunciare chiusure temporanee, fatto mai accaduto in 39 anni. L’ultimo aggiornamento parla di una timida ripresa dell’attività e, dunque, del consueto orario, ma il tono della comunicazione è dimesso, quasi che sia subentrata la rassegnazione per ciò che stanno i dipendenti e, di conseguenza, i clienti, per l’avvento della Brexit. La delusione è grande nella parole dello store manager Ryan Pierce intervistato dalla BBC.
Se Bruxelles piange, Parigi non ride, visto che, come riportato da diverse testate locali, anche in lingua inglese e dunque destinate ai residenti britannici nella Ville Lumière, i più preoccupati per ciò che sta accadendo, anche nella capitale francese un negozio della più nota insegna Marks & Spencer ha chiuso i battenti per interruzione delle forniture. D’altra parte erano settimane che in rete, anche sui social dei giornali più letti come Le Figaro, giravano foto di scaffali tristemente sempre vuoti.
Nonostante le rassicurazioni della proprietà, la chiusura di questi giorni non fa ben sperare su di una soluzione a breve per le distribuzione di prodotti inglesi sul continente, come, per esempio, la proposta di approvvigionarsi da produttori interni e non più dal Regno Unito, uno smacco.
In Italia la cosa si nota meno rispetto che nel resto d’Europa di più, ma resta il fatto che, anche da noi, molti appassionati di birre particolari, di whisky raffinati, o banalmente di tè, rischiano di restare a bocca asciutta per un po’.
Fin qui ci si potrebbe limitare alla cronaca di un suicidio commerciale che i cittadini britannici impiegheranno tempo a riassorbire e, in fondo, si può pazientare per un po’ senza le amate specialità inglesi. Tuttavia, come abbiamo visto nei giorni dell’incertezza che aveva creato ingorghi chilometrici alle frontiere in uscita dal Regno Unito, c’è un risvolto più grave ed eticamente inaccettabile: non si contano più i quintali di merce fresca che viene regolarmente inviata al macero, uno spreco che si poteva e doveva evitare.
Insomma, il caso emblematico e quasi comico, al limite della provocazione, di un agente doganale olandese, che costrinse alcuni autotrasportatori britannici a gettare il panino che si erano portati da casa era solo il prologo di una Brexit che potrebbe trasformarsi in Brexeat.