«Ora la mia battaglia è permettere a tutti i cittadini europei e ai miei amici italiani di avere il più velocemente possibile le dosi di cui hanno bisogno. La capacità di produzione in Europa arriverà a 2-3 miliardi di dosi all’anno: questo è l’obiettivo che abbiamo per fine anno». Lo dice al Corriere Thierry Breton, commissario Ue al Mercato interno, all’Industria e al Digitale, che guida anche la task force creata all’inizio di febbraio dalla Commissione europea per lavorare con le aziende e i governi e accelerare la produzione di vaccini anti-Covid nel continente.
In Europa, spiega, «abbiamo cercato di fare in modo che i vaccini messi sul mercato avessero tutti l’autorizzazione dell’Ema, l’Agenzia europea per i medicinali. Tutti i Paesi hanno deciso di fare così per ragioni di sicurezza sanitaria, per essere sicuri che non ci fossero effetti secondari. In molti Paesi, tra cui l’Italia e la Francia, c’è un certo numero di cittadini che ha ancora un po’ di paura verso i vaccini».
Ma il vecchio continente sembra ormai navigare nel caos, soprattutto dopo che Austria e Danimarca hanno annunciato di volersi muovere in autonomia stringendo una partnership con Israele per la produzione del siero. Da Bruxelles sdrammatizzano per non prendere atto di una possibile rottura definitiva del fronte unitario nella campagna vaccinale. E in effetti, come conferma anche Breton, non ci sarebbe alcun obbligo di aspettare l’Ema.
«Se un Paese per delle ragioni di urgenza vuole non aspettare l’autorizzazione dell’Ema può farlo ma a suo rischio e pericolo, e non ha la garanzia totale della sicurezza scientifica fornita dall’Ema», dice il Commissario. «La Gran Bretagna ha scelto questa via e ha dato il via libera almeno un mese prima di noi, che abbiamo atteso di avere la documentazione completa: Pfizer-BioNTech è stato approvato il 22 dicembre, Moderna il 6 gennaio e AstraZeneca il 29 gennaio. Londra rispettivamente il 2 dicembre, l’8 gennaio e il 30 dicembre. Gli Stati Uniti invece per i primi due circa un mese prima di noi e AstraZeneca non ancora».
Ma l’Europa è in ritardo e viaggia ancora a ritmi molto lenti nella campagna di vaccinazione. «Le dosi negli Usa sono state consegnate circa cinque settimane prima che in Europa. Noi abbiamo questo ritardo perché abbiamo voluto essere sicuri al cento per cento che i vaccini non avessero rischi per i cittadini Ue», assicura Breton. «A oggi sono stati consegnati in Europa circa 43 milioni di dosi, negli Usa circa 96 milioni. Quattro settimane fa gli Stati Uniti erano a 50 milioni. Ecco come nasce lo scarto con gli Usa. Alla fine di marzo il nostro obiettivo è arrivare a 95-100 milioni di dosi. Ma a fronte dei 43 milioni di dosi consegnate ne sono state somministrate 30 milioni 204mila. All’Italia sono state consegnate 6.542.260 dosi e ne sono state somministrate 4.434.131. Gli Stati membri devono mettere in pratica velocemente la loro politica vaccinale perché la capacità di produzione di dosi aumenta di settimana in settimana. Lo scarto non c’è solo in Italia ma anche in altri Paesi, come Francia o Spagna».
In Europa, dice Breton, «abbiamo 16 impianti che producono il materiale iniziale per i vaccini, quattro impianti che fanno gli ingredienti attivi e il “fill&finish”, cioè l’ultima fase di riempimento dei flaconi, e 21 impianti per il solo “fill & finish”, tra cui due italiani (uno a Rosia e uno ad Anagni, ndr). Verrò a visitarne uno nei prossimi giorni. Sono entrato in contatto con le aziende che hanno avuto le autorizzazioni per verificare che l’aumento della produzione si svolga correttamente. Abbiamo firmato contratti con società che avevano impianti in Europa, perché per crearne da zero ci vogliono 4-5 anni. Per trasformare le linee di produzione di solito servono almeno due anni ma in un’economia di guerra come questa il tempo sarà ridotto a 5-6 mesi».
Le difficoltà non sono poche: «Per fare un vaccino mRNA servono tra i 400 e i 500 componenti di natura diversa. Ho creato un’équipe per verificare che tutti gli elementi delle supply chain, che sono mondiali, funzionino bene: non c’è alcun Paese al mondo che possa produrre da solo un vaccino».
E sul vaccino russo a cui hanno aperto Ungheria e Slovacchia, dice: «Non mi pronuncio sulla qualità perché non la conosco e spero che i russi presentino domanda all’Ema. Se guardiamo all’Ungheria, Mosca ha consegnato 46 mila dosi di Sputnik V: vuol dire niente. Di fatto attualmente non c’è la disponibilità del vaccino russo, che è due volte più difficile da produrre rispetto agli altri. Alla fine credo che Mosca avrà bisogno del nostro aiuto».