Lunedì 1 marzo a Brdo, in Slovenia, si è tenuto il quinto incontro dei “Central 5” (C5), il gruppo informale composto da Austria, Slovenia, Ungheria, Cechia e Slovacchia, formato l’anno scorso su iniziativa austriaca per coordinare la risposta alla pandemia. Tema principale all’ordine del giorno: l’elaborazione di una linea comune da tenere durante il semestre di presidenza sloveno del Consiglio europeo, che inizierà il prossimo primo luglio. L’incontro può essere visto come l’ultimo ripasso collettivo del sodalizio mitteleuropeo, in vista dell’esame di maturità: i sei mesi in cui Lubiana reggerà il timone del blocco. Con il vertice di Brdo, i C5, che complessivamente producono circa il 6.5% del pil Ue, lanciano un segnale molto esplicito, proiettandosi come un soggetto coeso e unito nell’ambito della politica estera.
L’elenco delle questioni affrontate suggerisce, infatti, il desiderio di elaborare una linea comune, su dossier come il processo di integrazione dei Balcani occidentali, le relazioni transatlantiche, i rapporti con i paesi non-Ue e quello con il Regno Unito post-Brexit. Tradotto: la Mitteleuropa prova a portare una voce sola nell’arena internazionale, specialmente in quella più immediata e rilevante, l’Ue, dove questi cinque Stati mirano a costituire una sorta di lobby regionale.
L’afflato post-asburgico che anima il consesso è evidente. Già al vertice di Budapest, il secondo dopo quello di Vienna, i C5 avevano discusso della possibilità di aprire i confini tra loro, una necessità impellente essendo l’area altamente integrata sotto il profilo economico-produttivo, adottando al contempo una posizione comune verso l’ingresso di cittadini di Stati terzi. Un provvedimento che avrebbe ricreato, seppure solo per qualche mese, un soggetto sovra-statale con libera circolazione al proprio interno su buona parte dei territori che costituivano il cuore dell’Impero austro-ungarico.
Anche all’incontro seguente, avvenuto sempre in Slovenia ma senza la presenza del ministro degli Esteri magiaro Peter Szijjarto (in visita negli Usa), ci si era confrontati su tematiche di politica estera, come la gestione dei flussi migratori, la risposta alla crisi politica in Bielorussia e la partecipazione al progetto Trimarium. La creazione de lC5 può essere interpretata come il tentativo di rilanciare, in una forma più snella e più aggiornata, il Gruppo di Visegrád, format ormai antiquato che proprio lo scorso mese ha celebrato il trentesimo compleanno. Rilanciarlo con due new entry, Austria e Slovenia, ma soprattutto un grande escluso: la Polonia.
Non invitare Varsavia è una scelta razionale. Lasciandosi sedurre dalle allusioni storico-culturali, il motivo dietro questa esclusione potrebbe essere il fatto che, a differenza di Austria, Slovenia, Ungheria, Cechia e Slovacchia, la Polonia non può rivendicare il comune patrimonio post-imperiale, in quanto delle terre attualmente polacche il dominio degli Asburgo includeva soltanto alcuni scampoli meridionali. Più prosaicamente, la Polonia possiede una taglia che la rende un commensale troppo ingombrante da invitare alla tavola: da sola ha più abitanti di tutti e cinque i “Central 5” sommati, oltre a un lungo e complicato confine con terre extracomunitarie, come Bielorussia e Ucraina. Varsavia non è però l’unica capitale che dovrebbe guardarsi le spalle. Anche a Roma converrebbe seguire da vicino le sorti di questo gruppo.
Tra gli Stati membri solo uno – la Slovenia – possiede uno sbocco sul mare, a Capodistria/Koper. Essendo lo Stato più piccolo (per popolazione, prodotto interno lordo e superficie) tra i cinque partecipanti, è quello che più ha da guadagnare dall’adesione al consorzio. Non pare così inverosimile, quindi, che Lubiana punti a impiegarlo per avanzare i propri interessi. Per esempio, promettere di avere un occhio di riguardo durante la propria presidenza per i quattro amici mitteleuropei aiuterebbe Lubiana ad accattivarsene le simpatie, ottenendo in cambio qualche vantaggio, come alcune intese commerciali incentrate sul porto di Capodistria. Questo andrebbe a detrimento del principale rivale dello scalo sloveno: Trieste, per quasi duecento anni unico e incontrastato porto (franco) dell’Impero degli Asburgo, annesso al Regno d’Italia alla Prima guerra mondiale.