Il pericolo di nuove variantiIl presidente dell’Accademia dei Lincei parla del rischio di una quarta ondata

Il fisico Giorgio Parisi dice che se avessimo monitorato meglio la diffusione della mutazione inglese, si poteva intervenire un mese prima. Ora, mantenendo le misure costanti, i casi raddoppierebbero in poco meno di due settimane

Foto Gian Mattia D'Alberto - LaPresse

«Io non sono preoccupato soltanto per la terza ondata che è in corso, ma inizio a temere per la quarta che potrebbe arrivare il prossimo inverno». Giorgio Parisi, presidente dell’Accademia nazionale dei Lincei, guarda già avanti, alla futura possibile minaccia, mentre in questi giorni la curva dei contagi in Italia è in netta risalita.

Il fisico spiega al Corriere che la seconda ondata ancora non è finita, «quindi si può discutere se si tratti di una recrudescenza di quella o di una fase successiva. In ogni caso ha senso chiamarla terza ondata perché ha caratteristiche diverse: le varianti». Ma se dovessero spuntarne di nuove «che sfuggono ai vaccini attuali è necessaria una campagna vaccinale di richiamo a dicembre-gennaio». Però, «bisogna pensarla ora».

Sono le varianti, appunto, a preoccupare. «La mutazione inglese per esempio ha una contagiosità superiore del 50% e una letalità del 30%». Ecco perché, dice, «mantenendo le misure costanti, i casi raddoppierebbero in poco meno di due settimane».

Ma «lo scopriremo tra una decina di giorni», dice Parisi. «Ultimamente abbiamo visto un incremento del 30% a settimana, vuol dire un raddoppio dei casi in due settimane e il quadruplo in un mese: dai 13mila di ieri si può passare a 50mila casi».

Così si rischierebbero anche più di mille morti al giorno. «Se raddoppiano i casi e questi sono 30% più letali, allora è facile arrivare a quei decessi», spiega. «Se si ritarda la risalita della curva – anche di 2-3 settimane – ma intanto si vaccina speditamente la popolazione anziana potremmo avere meno decessi e anche meno ricoveri».

L’impressione, per un certo periodo, era «che la curva piatta fosse dovuta a un maggior controllo». Poi è arrivato l’allarme sulla variante inglese: «Quando l’Istituto superiore di sanità a inizio febbraio ha detto che era al 18% quello è stato il segnale». Certo, «se avessimo monitorato meglio la diffusione della variante inglese un mese fa si poteva intervenire un mese prima».

Difficile però fare ora una previsione sul picco della curva attuale: «Se domani si decidesse il lockdown totale per 15 giorni il picco sarebbe tra 8-10 giorni. Ma dato che non si può fare una chiusura forte, tutto dipenderà dall’efficacia delle misure almeno locali».

Dipende, spiega il fisico, «dalla capacità dei pubblici poteri di bloccare le persone contagiate. Abbiamo visto che se le persone non si incontrano non contagiano. Il governo deve navigare tra Scilla e Cariddi, ma è un percorso non facile». E bisogna capire anche che cosa succede nelle scuole. «Mi piacerebbe», dice Parisi, «sapere quanti sono i casi negli istituti e soprattutto i doppi casi nelle singole classi per capire la trasmissibilità. Ci sono ancora cose che non sappiamo».

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