Barcellona protesta, Madrid traballaL’Europarlamento revoca l’immunità agli indipendentisti catalani

Carles Puigdemont, Toni Comín e Clara Ponsatí gridano alla  «persecuzione politica». Rischiano un nuovo mandato d’arresto europeo, ma a traballare potrebbe essere anche il governo spagnolo, con i due partiti di maggioranza (Psoe e Podemos) spaccati sulla decisione

LaPresse

Il giorno del giudizio è arrivato, anche se è solo il primo di una lunga serie di sentenze. Martedì 9 marzo il Parlamento Europeo ha revocato l’immunità parlamentare di Carles Puigdemont, Toni Comín e Clara Ponsatí, i tre deputati catalani indagati per la tentata secessione della Catalogna nell’ottobre 2017. Questa decisione, sollecitata dal Tribunal Supremo spagnolo, riapre un’annosa battaglia legale fra i magistrati iberici e i tre deputati, contro i quali sarà di nuovo possibile emettere un mandato d’arresto europeo. La decisione dell’Eurocamera è però anche un nuovo tassello dello scontro politico fra Madrid e Barcellona ed evidenzia le differenze fra le anime del governo di Spagna. 

«Abbiamo perso l’immunità, ma il Parlamento e la democrazia europea hanno perso molto di più. Questo è un caso evidente di persecuzione politica», le parole a caldo di Puigdemont, ex-presidente della Generalitat de Catalunya. Sul soccorso dei propri colleghi, i politici indipendentisti non nutrivano molta speranza. Le tre votazioni distinte hanno visto tutte più di 400 europarlamentari schierarsi a favore della revoca, una netta maggioranza che ha sancito una conclusione largamente prevedibile.

La loro disputa con la giustizia spagnola, comunque, non finisce qui: Puigdemont, Comín e Ponsatí hanno già annunciato che faranno ricorso alla Corte di Giustizia Europea contro il procedimento. Tra le irregolarità che segnalano c’è l’assegnazione di tutti e tre i casi a un unico relatore nella commissione parlamentare giuridica, il conservatore bulgaro Angel Dzhambazki, a quanto pare particolarmente sensibile alla retorica dei suoi alleati di Vox.

Si consulterà con il tribunale di Lussemburgo anche il magistrato del Tribunal Supremo spagnolo Pablo Llarena, giudice istruttore del processo sui fatti dell’ottobre catalano. Llarena presenterà una questione pregiudiziale per capire se gli conviene o meno, adesso che può farlo, emettere un nuovo mandato d’arresto europeo contro i parlamentari privati dell’immunità. In un recente caso analogo, infatti, un giudice belga ha negato il permesso di processare in Spagna Lluís Puig, un altro dei consiglieri di Puigdemont indagato dal Tribunal Supremo e riparato all’estero nel 2017. Un’eventuale estradizione, in ogni caso non pronosticabile a breve termine, dipenderà dalla giustizia del Belgio: su questo aspetto c’è ottimismo da parte dei tre deputati, come trapela da fonti del loro entourage.

Se la battaglia legale è ancora tutta da combattere, quella politica non è da meno. E anzi, secondo l’analisi di Toni Comín vedrebbe oggi una vittoria del movimento indipendentista. «Da tempo la questione catalana non raggiungeva questo interesse a livello europeo», argomenta l’eurodeputato, che fa anche i conti sul risultato finale. «Il 42% del Parlamento, tra voti contrari e astenuti, ha detto alla Spagna: ’Così no!’». 

Dalla parte dei parlamentari sotto esame si è schierata sostanzialmente l’ala sinistra dell’emiciclo comunitario: buona parte dei 247 (per Comín e Ponsatí) e 248 (per Puigdemont) voti contrari alla revoca sono arrivati dal gruppo dei Verdi/Alleanza Libera per l’Europa e da quello della Sinistra europea. Ma non sono solo loro a opporsi, visto che le due famiglie politiche insieme sommano 112 deputati. 

Le votazioni sull’immunità sono segrete e non c’è dunque modo per verificare l’esatto comportamento di ogni singolo membro. Di certo, qualche voto in difesa dei catalani è arrivato dalle destre europee e qualche defezione ci sarà stata pure nei gruppi principali dell’Eurocamera: popolari, socialisti e liberali.

Non abbastanza, però, per frenare quella che Clara Ponsatí definisce (rigorosamente in inglese o in catalano) “l’Armata spagnola”. Le delegazioni di Partido Popular, PSOE, Ciudadanos e Vox hanno condotto una campagna serrata per il voto di oggi, trascinando dalla propria parte tutti o quasi i commilitoni degli altri Paesi. «Il Parlamento europeo oggi ha inviato un messaggio chiaro: coloro che violano le leggi e cercano di infrangere lo Stato di diritto, devono rispondere alla giustizia», ha commentato soddisfatta la portavoce dei popolari spagnoli Dolors Montserrat. Messaggi simili arrivano dalle pattuglie dei socialisti e di Ciudadanos, che sottolinea come «immunità non sia sinonimo di impunità». 

Il voto del Parlamento Europeo è accolto con favore pure da Madrid, dove il ministro degli Esteri Arancha González Laya ha organizzato un’apposita conferenza stampa per trasmettere il suo messaggio: «I problemi della Catalogna si risolvono in Spagna, non in Europa».

Dalle parti della Moncloa però c’è poco da festeggiare. In primo luogo perché ogni defibrillazione sulla questione catalana si ripercuote a catena sulla stabilità del governo di Madrid. Nel parlamento spagnolo, infatti, sono ago della bilancia i 13 deputati di Esquerra Republicana de Catalunya, il partito indipendentista catalano più incline al dialogo che ha permesso l’investitura di Pedro Sánchez a gennaio 2020. 

«A forza di tirare, la corda si spezza. Se continuate così, festeggerete da casa invece che dalla Moncloa», ha avvertito il suo portavoce alla Camera dei deputati, Gabriel Rufián. Erc spinge per una legge che garantisca l’amnistia ai protagonisti del tentativo secessionista, ipotesi su cui il governo di Pedro Sánchez fa orecchie da mercante.

Ma soprattutto, la revoca dell’immunità a Puigdemont e soci apre una nuova crepa tra le due anime della coalizione di maggioranza, PSOE e Podemos. Il partito che esprime il primo ministro ha appoggiato la richiesta, quello del suo junior partner si è opposto. 

La linea della formazione di Pablo Iglesias sul tema è sempre la stessa, a Madrid come a Bruxelles: rifiuto dell’indipendenza catalana, ma soluzione politica e non giudiziaria alla controversia. Per questo già monta la polemica. «Non commenterò la scelta di Podemos. Sono loro che devono spiegare ai cittadini spagnoli ed europei perché non intendono collaborare con la giustizia», ha detto a margine della seduta Iratxe García Pérez, deputata spagnola presidente del gruppo dei Socialisti e Democratici. E María Eugenia Rodríguez Palop, una delle eurodeputate di Podemos, la spiega: un secco “no” alla politica fatta dai tribunali.

Mentre PSOE e Podemos litigano a Bruxelles e convivono faticosamente a Madrid, in Catalogna tornano le bandiere indipendentiste per le strade. Lo stesso giorno in cui i membri della Generalitat ribelle fuggiti all’estero rimangono senza immunità, i loro sodali condannati in Spagna tornano nel carcere di Lledoners, dopo l’annullamento del regime di semilibertà che era stato concesso loro. Ogni manifestazione di massa per la liberazione dei cosiddetti presos polítics è un nuovo grattacapo per Sánchez. Nella questione catalana, sembra ormai impossibile separare il confronto politico da quello giudiziario.