Sapreste dire dove si trova l’acqua più leggera d’Europa? Pensando alle Alpi vi è venuta in mente l’Italia? Avete fatto bene! Trentino… Valle d’Aosta? Fuochino… La risposta corretta è Piemonte e più precisamente il piccolo paese di Graglia, qualche chilometro sopra Biella. È qui, infatti, che sgorga l’acqua Lauretana. Un prodotto unico che si origina a 4600 metri di altitudine nell’area geologica del Monte Rosa e poi scorre nel sottosuolo su un’unica lastra di granito che lo protegge dalle impurità e non le trasferisce sali minerali se non in minima parte, determinando così un residuo fisso di 14 mg/l, record di leggerezza a livello europeo.
L’acqua è un ingrediente fondamentale nella produzione della birra. Il suo ruolo è evidente anche ai non esperti: in una pinta ce n’è più del 90%. Eppure la sua importanza non è solo quantitativa, anzi. pH e durezza sono valori che il birraio deve tenere in grande considerazione quando si appresta a produrre, perché da loro può dipendere la buona o la cattiva riuscita di una ricetta. A influenzarli sono la quantità e la tipologia dei sali disciolti: una bassa concentrazione di minerali comporta acque morbide adatte a produrre birre chiare come helles o pils, un elevata presenza di carbonati o di solfati e cloruri, invece, rende le acque dure e idonee per birre scure o intensamente luppolate quali sono stout o Ipa. Guardando alla storia della birra europea è sorprendente notare come sia stata proprio la fonte a disposizione dei birrai a guidare alcuni dei successi più fragorosi; si pensi, per esempio, a quanto avvenuto a fine Settecento a Burton-on-Trent, città dello Staffordshire, la cui acqua è risultata così determinante per il gusto delle India Pale Ale da aver spinto i birrai di altre città a cercare metodi che consentissero loro di modificare l’acqua per renderla simile a quella della cittadina posta nel cuore dell’Inghilterra. Il risultato è una tecnica chiamata ancora oggi burtonizzazione e che prevede di aggiungere gesso all’acqua per aumentare la quota di solfati.
L’acqua, a differenza, di tutti gli altri ingredienti della birra – malto d’orzo, luppolo e lievito, solo per citare i principali – non può viaggiare e per questo è spesso il più chiaro elemento di legame con il territorio che un birrificio possa avere. Se però questo è vero lo è anche il fatto che la tecnologia mette i birrai contemporanei nella condizione di modificarne il profilo e le caratteristiche dell’acqua molto più efficacemente di un tempo, attraverso filtrazioni, osmosi inversa e aggiunte di sali minerali. Così facendo conta sempre meno dove ci si trova: l’acqua viene adeguata alle diverse esigenze produttive e si possono avere straordinari birrifici in luoghi dalle acqua pessime o artigiani che brassano imperdibili stout in zone con acque da helles e viceversa.
Ci sono posti, però, dove i birrai non hanno bisogno di modificare nulla e, anzi, valorizzano le peculiarità dell’acqua a loro disposizione con birre su misura. A Graglia a fare birra ci hanno pensato due fratelli del lago di Garda. Josif e Raoul Vezzoli, come molti loro colleghi, hanno alle spalle storie nelle quali la birra era solo passione. Raoul ha fatto il dj e il pilota di barche sul lago prima di approdare a Graglia, Josif, invece, ha costruito gli impianti di registrazione di alcuni dei più famosi cantanti italiani. Poi, l’amore l’ha portato qui tra le montagne biellesi dove nel 2013 ha inaugurato il birrificio Elvo. Consapevole della straordinaria acqua locale Josif ha scelto di optare per la bassa fermentazione e si cimenta con pils, märzen, hellerbock… stili di origine tedesca, tanto semplici da bere quanto complicati da fare; birre che richiedono millimetrica precisione e pazienza, probabilmente le stesse doti che gli servivano per fare in modo che uno studio di registrazione si comportasse a dovere. L’acqua di Graglia è perfetta, povera di sali, consente di lasciare la scena alle note mielose ed erbacee di malti e luppoli e di garantire una base esile che doni facilità al sorso. Il birrificio, nel giro di pochissimo tempo, ha raggiunto grande popolarità di pubblico e un ampio consenso di critica e ha contribuito a riportare l’attenzione sulle lager più tradizionali, le birre a bassa fermentazione di stampo tedesco, che avevano negli anni un po’ lasciato il campo a ales luppolate o di stampo belga, forse perché più lontane, nell’immaginario comune dalle chiare di stampo industriale.
Tra le birre che vale qui la pena citare c’è sicuramente la Helles, storica etichetta del birrificio, un tempo disponibile solo alla spina e oggi anche in bottiglia. Una birra dorata, leggermente velata, sormontata da un cappello di schiuma immacolata, compatta e sottile. Punteggiata a livello olfattivo da note di malto chiaro, miele, e una leggera sensazione erbacea. In bocca è leggera e scorrevole, morbida all’ingresso grazie agli aromi di millefiori e asciutta nel finale di sorso reso leggermente amaro da una misurata dose di luppolo. È la Pils, però, la birra probabilmente più rappresentativa di Josif e Raoul che la interpretano secondo la tradizione tedesca donandoci un prodotto semplice, rigoroso, lineare nel sorso, profumato dai luppoli mittelfruh e tettnang e leggero come l’acqua di questi luoghi.