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La sfida agli UsaLa Cina punta sul lifelong learning per diventare capofila del mondo digitale

La grande scommessa per il governo di Xi Jinping dei prossimi anni è riqualificare la propria forza lavoro, adattandola alle sfide dell’automazione e della digitalizzazione. Nel 2019 Pechino ha effettuato il 56% degli investimenti globali nel settore dell’istruzione

(Unsplash)

La grande sfida per Pechino è appena iniziata. Il rapporto del McKinsey Global Institute, dal titolo “Reskilling China: Transforming The World’s Largest Workforce Into Lifelong Learners”, analizza quella che sarà la grande scommessa per il governo di Xi Jinping dei prossimi anni: riqualificare la propria forza lavoro, adattandola alle sfide dell’automazione e della digitalizzazione.

Negli ultimi 30 anni, Pechino ha visto decuplicare sia i redditi sia la produttività del lavoro e aumentare il proprio Pil a ritmi incessanti, ma adesso la spinta propulsiva che ha dato vita a tutto questo si sta lentamente esaurendo. Infatti, il processo di urbanizzazione sta rallentando, con un lento calo della migrazione interna tra campagna e città. Inoltre, il Paese sta invecchiando (l’età media nel 2017 ha raggiunto il picco dei 76,47 anni, mai così alto) e la popolazione in età lavorativa sta diminuendo. Premesse che non aiutano chi vorrebbe guidare il mondo di domani imponendosi come leader in settori come l’intelligenza artificiale o la blockchain.

Secondo alcuni think tank cinesi, entro il 2050 è possibile che Pil pro capite di Pechino arrivi ad essere il 70% di quello delle economie occidentali, mentre oggi è solo al 27%. Sarebbe un cambio di passo importante che imporrebbe una necessaria crescita del Pil del 4,7% l’anno e dei salari del 4,9%. Il vero cambiamento però è già avvenuto: l’economia cinese, infatti, è passata dall’essere trainata da investimenti e produzione a essere guidata da consumi, servizi e innovazione, a cui si aggiunge un aumento dei processi di automazione e digitalizzazione all’interno della produzione.

Un passaggio che impone tre necessarie sfide. La prima è a livello occupazionale: 220 milioni di Cinesi, pari al 30% della forza lavoro, potrebbero dover cambiare occupazione entro il 2030. Poi c’è la sfida a livello di competenze. A causa dei processi di automazione, 516 miliardi di ore di lavoro potrebbero essere redistribuiti entro il 2030. Le richieste del mondo occupazionale sono infatti cambiate: la domanda di abilità fisiche e manuali e cognitive di base è destinata a diminuire rispettivamente del 18 e dell’11 per cento, mentre quella relativa alle competenze sociali, emotive e tecnologiche è destinata ad aumentare del 18 e del 51 per cento. La sfida più difficile potrebbe essere però quella dell’equità. Le fasce più disagiate, come i migranti rurali, rischiano lentamente di scomparire dal mondo del lavoro dopo averlo fatto dal sistema delle tutele, che li esclude sistematicamente dall’assistenza sanitaria, dall’istruzione e dai programmi di formazione professionale. Sono loro quelli che rischiano di più visto che dal 22 fino al 40 per cento del loro lavoro, stimabile tra i 151 e i 277 miliardi di ore lavorative, potrebbe scomparire a causa dell’automazione. Un problema enorme per una società che potrebbe arrivare a contare fino a 331 milioni di migranti rurali entro il 2030.

Proprio l’istruzione dovrà essere il primo punto alla base del rilancio di Pechino. Il sistema scolastico cinese si è sempre più perfezionato nel corso degli anni ma pecca ancora nella formazione professionale, dove ora serve garantire che l’intera popolazione cinese abbia le competenze di cui ha bisogno. Questo significa che il triplo delle persone iscritte al sistema educativo potrebbe aver bisogno di aggiornare il suo bagaglio di competenze entro il 2030.

Servirebbe soprattutto sviluppare programmi professionali competitivi e competenze di alta qualità, espandendo il numero e le capacità degli esperti del settore tecnologico. Sarebbero utili soprattutto percorsi formali e informali e un aiuto importante potrebbe giungere dai privati, che potrebbero permettere di colmare le lacune presenti nel sistema educativo e ampliare l’accesso a tutti. Inoltre, serve ampliare anche il quadro formativo, finora piuttosto ristretto: il mondo del lavoro potrebbe chiedere maggiori conoscenze cognitive, sociali ed emotive, un set sensibilmente diverso rispetto a quello che oggi viene insegnato. Per questo serve cambiare i tradizionali libri di testo e aggiornare i programmi soprattutto di formazione professionale, rimasti indietro. Infine, serve che il programma formativo cinese si espanda anche geograficamente, visto che i migranti rurali spesso non hanno accesso all’istruzione così come coloro che risiedono nelle campagne, maggiormente svantaggiati rispetto a coloro che vivono in città.

Internet e le nuove frontiere del digitale potrebbero aiutare la Cina in questa sfida. L’utilizzo della realtà aumentata e virtuale, insieme a piattaforme di gamification, possono enormemente ampliare la platea di fruitori di programmi scolastici o di apprendimento. Più di 900 milioni di persone, praticamente chiunque abbia accesso a Internet, potrebbero ottenere contenuti digitali di alta qualità per supportare le loro transizioni di competenze.

Un passaggio che sarebbe epocale e che in parte si sta già osservando: nel solo 2019 la Cina ha effettuato il 56% degli investimenti globali di capitale di rischio nel settore dell’istruzione. Un altro step potrebbero essere la sigla di partenariati tra pubblico e privato che permettano alle scuole di migliorare i percorsi di istruzione a seconda di quello che chiedono i datori di lavoro. Un accordo che potrebbe potenzialmente coinvolgere fino a 300 mila aziende, 11mila scuole professionali e circa 27 milioni di studenti.

Il sistema formativo è inoltre migliorabile sia dal punto di vista dell’offerta, visto che si potrebbe permettere l’accesso agli studenti delle scuole superiori direttamente all’università senza passare dall’esame nazionale, sia sul fronte di una maggiore collaborazione tra aziende e formatori professionali, ai quali potrebbero essere richieste competenze in settori correlati a quelli conosciuti come succede in Germania.

Il fattore su cui punta la Cina è lo sviluppo di cultura dell’apprendimento permanente. Un maggiore supporto sulle opzioni di carriera e sui percorsi di sviluppo delle competenze potrebbe aiutare circa 220 milioni di persone ad affrontare le transizioni occupazionali da qui fino al 2030 aiutandole anche a comprendere cosa fare per sviluppare le capacità necessarie. Gioverebbe soprattutto un “sistema di micro credenziali” oltre la laurea che potrebbe promuovere una cultura del lifelong learning. Quanto ai datori di lavoro, invece, investire nella formazione dei propri lavoratori permetterebbe loro di beneficiare delle competenze di cui hanno bisogno per aumentare la produttività. Solo lavorando in questa maniera sull’istruzione e l’apprendimento continuo, il Paese può passare da leader del mondo manifatturiero a capofila del mondo digitale di domani.

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