Inside MinskLe cinque mosse con cui Lukashenko ha silenziato la stampa in Bielorussia

Da quando sono iniziate le proteste contro il regime, il dittatore bielorusso ha cercato di silenziare tutte le voci in contrasto con la narrazione ufficiale. Aggressioni e processi sommari ai giornalisti, svolti sulla base di leggi spesso inique, sono ormai diventate normalità. La chiusura del quotidiano Tut.by è solo l’ultima di una lunga serie iniziata con il divieto alle tipografie di stampare giornali non approvati dallo Stato

LaPresse

«Oggi siamo testimoni dell’assassinio premeditato di un media indipendente come Tut.by. Chiedo alla comunità internazionale di reagire immediatamente alla repressione del regime bielorusso contro il sistema dell‘informazione». Commenta così Sviatlana Tsikhanouskaya, leader dell’opposizione bielorussa, l’ultimo atto del regime di Alexander Lukashenko contro la libera dei mass media.

Alcuni agenti del Dipartimento per le indagini finanziarie bielorusse (DFR) hanno perquisito la redazione di Tut.by, sito di informazione fondato nel 2000 che conta oltre 20 milioni di visitatori al giorno. La direttrice del giornale, Marina Zolotova, ha denunciato l’arrivo dei funzionari governativi anche nel suo ufficio, nella sua casa e in quelle dei suoi giornalisti.  Secondo l’Associazione Bielorussa dei giornalisti (BAJ), almeno 6 dipendenti del giornale sarebbero stati prelevati per essere interrogati. Inoltre, le autorità bielorusse hanno bloccato il dominio del sito, ha riferito il fondatore di Tut.by, Kirill Voloshin.

Secondo il Ministero dell’Informazione della dittatura di Minsk, Il sito ha poi confermato che a questa accusa si aggiunge un’indagine per evasione fiscale a carico della società che gestisce il sito.  Nei suoi 21 anni di vita il sito non si era mai particolarmente distinto per le critiche verso il governo, anzi era addirittura a pubblicare un’intervista concessa dallo stesso Lukashenko poco prima delle elezioni del 2015 (quando anche due radio occidentali come Radio Liberty e Euroradio mandarono in onda le sue parole).  Il sito bielorusso ha però cominciato ad avere problemi con il governo quando lo scorso agosto ha iniziato a documentare le proteste contro il regime di Lukashenko seguite alle elezioni che avevano ancora una volta incoronato l’uomo forte di Minsk, ormai in carica ininterrottamente dal 1994. 

I ministri degli Esteri di Estonia e Lituania sono stati tra i primi a condannare la chiusura forzata di Tut.by. «La libertà dei media deve essere salvaguardata», ha dichiarato la delegazione dell’UE in Bielorussia in un lungo post in russo e in inglese apparso su Facebook.

È dall’inizio delle proteste, lo scorso agosto, che il regime cerca di silenziare tutte le voci in contrasto con la narrazione ufficiale. Come sottolinea Open Democracy, «il livello di repressione esercitato dal regime bielorusso contro la libera stampa è direttamente proporzionale al livello di attività di protesta nella società». Visto perciò alle strette, il regime bielorusso ha deciso di contrattaccare. 

«I giornali raccontano solo le rivolte ma non raccontano invece il memorabile raccolto di quest’anno», si lamentava il dittatore bielorusso lo scorso luglio, quando i media nazionali e internazionali si stavano interessando alle violenze perpetrate dalla polizia, come quella ai danni di Anton Trafimovich, corrispondente di Radio Liberty, aggredito il 15 luglio 2020, tre settimane prima delle elezioni.

Primo: la violenza contro i giornalisti
Complice le proteste, il tentativo di Lukashenko di silenziare le voci ostili è andato avanti in modo sempre più spedito cercando di agire secondo un determinato modus operandi. La prima regola pare chiara: aggressioni e processi sommari ai giornalisti, svolti sulla base di leggi spesso inique, sono ormai diventate normalità.

Lo scorso 2 marzo Katerina Borisevich, giornalista proprio di Tut.by, è stata condannata a una pena detentiva di 6 mesi per aver rivelato che la morte di un manifestante, Roman Bondarenko, non era legata al suo stato di ubriachezza, come aveva sostenuto il governo, ma alle percosse che aveva subito. E non è la sola: appena qualche giorno prima due giornaliste della tv bielorussa indipendente Belsat, Katsiaryna Andreyeva e Darya Chultsovato, sono state condannate a due anni di carcere «per aver organizzato una manifestazione che viola gravemente l’ordine pubblico».

Nel 2020, secondo l’Associazione Bielorussa dei giornalisti, ci sono stati 477 casi di reporter detenuti, 97 dei quali si sono conclusi con un arresto amministrativo. Soltanto nel 2020, i giornalisti in Bielorussia hanno trascorso un totale di 1.200 giorni dietro le sbarre. «Questi processi sommari mirano a intimidire e mettere a tacere giornalisti e operatori dei media che stanno semplicemente facendo il loro lavoro, nonché a impedire che informazioni fattuali raggiungano il popolo bielorusso e non solo», ha osservato il Servizio di Azione esterna dell’Unione europea in una dichiarazione risalente allo scorso febbraio.

Come tutti gli altri protestanti anche i giornalisti sono stati picchiati e, dopo l’arresto, hanno subito lo stesso bullismo degli altri prigio Tut.by avrebbe violato la legge sui media pubblicando informazioni per conto di una fondazione non registrata, BYSOL, che si occupa di sostenere le vittime della repressione politica. I casi di Stanislav Ivashkevich, detenuto in una cella con 13 persone e poi costretto a subire atti di nonnismo dalle guardie carcerarie, e di Natalya Lubnevskaya, sparata a una gamba da una guardia per puro gioco, sono solo alcuni degli esempi.

Secondo: il divieto di stampare quotidiani cartacei ostili al regime
Il dittatore bielorusso non si è ovviamente fermato alle violenze e alle persecuzioni contro i giornalisti ma ha cercato anche di fermare le testate ostili con leggi ad hoc. Dalla fine di agosto 2020 il regime ha vietato alle tipografie di stampare giornali non approvati dallo Stato: un provvedimento volto a colpire testate come Narodnaja Volya, Komsomolskaya Pravda (edizione bielorussa), Svobodnye Novosti e Belgazeta. Nel momento in cui alcune di queste hanno iniziato a essere stampate fuori dalla Bielorussia, le reti di distribuzione statali Belpochta e Belsayuzdruk hanno rifiutato di vendere questi giornali tramite i loro chioschi o servizi di abbonamento.

Terzo la chiusura dei siti indipendenti
La repressione del regime di Minsk è passata anche dal web: Tut.by è solo l’ultimo caso ma, ad esempio, nel mese di agosto 2020, il ministero dell’Informazione ha limitato l’accesso a più di 70 siti Internet «utilizzati per coordinare le azioni e organizzare la disobbedienza di massa contro i rappresentanti delle autorità».

Quarto: la revoca dell’accredito stampa
A questi blocchi si aggiunge la revoca dell’accreditamento stampa da parte del ministero degli Esteri bielorusso verso i media ostili: Belsat TV non è mai stata accreditata in Bielorussia e, da ottobre 2020, tutti i media stranieri hanno visto i loro permessi decadere. Un problema per chiunque deve fare informazione visto che la mancanza di accreditamento significa un accesso limitato alle informazioni ufficiali, la possibilità di finire in prigione, la confisca di tutti gli strumenti e l’imposizione di enormi multe per eventuali violazioni della famigerata legge sui media. L’ultimo esempio riguarda Euronews, sito di informazione europeo che trasmette ventiquattr’ore su ventiquattro: lo scorso 13 aprile non ha avuto più la possibilità di trasmettere sul territorio bielorusso. Secondo le autorità di Minsk il permesso di trasmettere i propri programmi sul territorio era ormai scaduto e non è stato rinnovato, visto che la televisione avrebbe trasmesso i propri annunci pubblicitari in inglese, anziché in russo o bielorusso, violando la legge sui media.

Quinto: favorire l’ingresso dei media accomodanti
Il regime ha così pensato di sostituire Euronews con la rete russa Pobeda, così come era stato fatto già in precedenza con altre testate: la mossa probabilmente più subdola del governo di Minsk per nascondere le persecuzioni contro i media (un tentativo che non riesce però molto bene, visto che la Bielorussia è 158esima su 180 Paesi nella classifica mondiale della libertà di stampa). La risposta della tv non è mancata. «Non eravamo a conoscenza di questa decisione né dei motivi: siamo venuti a saperlo attraverso la stampa. Euronews però apprezza la libertà di stampa e farà tutto il possibile per garantire che il suo pubblico in Bielorussia possa presto avere nuovamente accesso, in televisione, al giornalismo imparziale e di qualità tipico della nostra rete». 

 

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