“Programma Italia”Cottarelli presenta la proposta di riforma per la giustizia: tribunali come aziende e due Csm

L’economista, coordinatore del comitato liberale sostenuto da PiùEuropa e Azione, parla del piano elaborato per l’ordinamento giudiziario. «La perdita di credibilità della magistratura è nei fatti», dice. «Un italiano su due non si fida dei giudici. Per questo servono riforme molto approfondite, che vanno molto oltre quelle presentate dal governo»

Foto LaPresse - Vince Paolo Gerace

La prima proposta di riforma è pronta. L’economista Carlo Cottarelli, in veste di coordinatore di “Programma per l’Italia” – il comitato scientifico che si è posto l’obiettivo di formalizzare progetti di matrice liberale per un nuovo programma di governo – presenta alla Stampa il suo nuovo piano per la giustizia. A sostenere il comitato che guida ci sono PiùEuropa di Emma Bonino, Azione di Carlo Calenda, il partito Ali e poi repubblicani e liberali. Si comincia con l’ordinamento giudiziario, in questi giorni nell’occhio del ciclone dopo il caso delle indagini sui verbali di Amara. Si continuerà poi con l’istruzione.

Il progetto elaborato sulla giustizia prevede la separazione delle carriere; due Csm, uno per la carriera inquirente e l’altro per la giudicante; il trasferimento al ministero della Giustizia della magistratura amministrativa (che è oggi sotto la supervisione della presidenza del Consiglio) e della magistratura tributaria (che è in ambito dell’Economia).

«Occorre un intervento davvero incisivo», dice Cottarelli. «La perdita di credibilità della magistratura è nei fatti. Secondo un recente sondaggio, un italiano su due non si fida dei giudici. Per questo servono riforme molto approfondite, che vanno molto oltre quelle presentate dal governo».

La giustizia, spiega l’economista, «svolge un ruolo fondamentale per il nostro Paese. Lo Stato di diritto è fondamentale. Siamo tutti a favore di una magistratura che sia estremamente autorevole e che possa fare il proprio lavoro con strumenti adeguati. Perciò io dico che noi intendiamo offrire al dibattito della pubblica opinione le nostre idee di riforma. Questo pacchetto per noi sarebbe il meglio. Poi, certo, sappiamo che non tutte le nostre idee passeranno. Ma questo non è un prendere o lasciare. Vedremo quali proposte potranno raccogliere una certa convergenza».

Intanto anche il governo lavora alle riforme della giustizia. «Premesso che la ministra Cartabia ancora non ha scoperto le sue carte, e che i tavoli tematici al lavoro presso il ministero della Giustizia hanno davanti almeno altri 10 giorni, sì, noi abbiamo messo in conto che servono riforme strutturali che certo non sono nell’orizzonte di una maggioranza dove convivono un centrodestra e un centrosinistra che su queste tematiche difficilmente potranno trovare un accordo», dice l’economista.

Il rischio, allora, è che le proposte di “Programma Italia” restino un bel progetto su carta. «Dipende», dice. «Mi sono convinto che una riforma può essere realizzata solo se ha dietro l’opinione pubblica. In fondo, è lo stesso problema che c’è con il Recovery Plan, o meglio il Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il Governo Draghi lo ha impostato. Ma siccome questo Governo non nasce sulla base di un consenso e di un programma, cioè di un chiaro mandato elettorale, se poi queste riforme verranno realizzate oppure no si vedrà nei prossimi anni. Nei fatti l’opinione pubblica ancora non si è espressa; lo farà con il voto. E a quel punto sapremo anche che fine faranno queste riforme».

Il metodo che il comitato scientifico si è dato è questo: «Ai nostri tavoli si confronta una larga schiera di esperti, non tutte le riforme sono come le avrei scritte io, e non ci sono tutte le riforme che io avrei voluto. Ma è giusto così. Tutti hanno dovuto cedere qualcosa».

Per il penale, si prevede il ritorno alla prescrizione e grande attenzione alle garanzie. Per il civile, ricorso a un rito unico, taglio delle udienze, poteri più penetranti al giudice. «Sono riforme che ci chiedono gli organismi internazionali», ribadisce Cottarelli. «E si consideri che la lentezza dei processi è un grave problema per l’economia italiana. Non è questione di un punto in più o in meno del Pil. Il problema è molto più serio. Sappiamo per certo che la lentezza della nostra giustizia è uno dei tre grandi problemi, assieme a una burocrazia inefficiente e un’alta tassazione, che tengono lontani gli investimenti esteri dall’Italia. Sono chiare le statistiche, tipo la graduatoria Cepej. Se in Germania ci vogliono due anni e mezzo per una sentenza civile, da noi ne occorrono sette. I tempi sono lentamente migliorati sia l’anno scorso, sia due anni fa, ma questi passi in avanti si misurano in mesi. Invece qui occorre recuperare in anni».

Il piano poi propone iniezioni massicce di managerialità. «So che solo a parlare di manager nella giustizia, i giudici mi dicono: noi facciamo sentenze, non gelati», mette le mani avanti Cottarelli. «Giusto. Ma anche le sentenze devono tener conto del tempo, che incide sulla qualità della giustizia. Come sa un chirurgo: un’operazione fatta tra un mese non è la stessa se fatta dopo dieci anni. Per questo motivo pensiamo che i tribunali debbano essere gestiti come delle aziende, e che serva un direttore generale a occuparsi di logistica, approvvigionamenti, gestione immobili. Così come serve nuovo personale. Dobbiamo tendere a medie europee anche nella spesa. Con tutti i soldi che si spendono… con un costo non enorme la giustizia potrebbe marciare più spedita».

In pratica, spiega, «occorre gestire i tribunali con criteri di produttività, premialità per numero di provvedimenti e esito delle impugnazioni, performance. Tutto per ridurre l’abisso. Perché in un Paese dove la giustizia non funziona bene, non può avere un’economia che funziona bene».

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