Lavori in corsoCome funzionerà concretamente la Conferenza sul futuro dell’Europa

Il Parlamento europeo ha ottenuto il coinvolgimento nella stesura del testo finale della Plenaria, un organo collegiale composto da 433 membri tra eurodeputati, parlamentari nazionali e cittadini comuni, evitando così che a un dibattito pubblico e aperto seguisse una conclusione negoziata dietro le quinte

LaPresse

«Fai sentire la tua voce» è lo slogan della Conferenza sul Futuro dell’Europa, l’evento lungo un anno che punta a innestare nuova linfa nell’Unione Europea. Protagonisti, almeno nelle dichiarazioni d’intenti iniziali, saranno i cittadini, chiamati a proporre, discutere, deliberare.  Non è ancora del tutto chiaro, però, come questo processo possa prendere forma, al di là della retorica della costruzione dal basso utilizzata a piene mani durante la cerimonia inaugurale, tenutasi domenica 9 maggio al Parlamento di Strasburgo, in concomitanza non casuale con la Festa dell’Europa.

Basti pensare che l’accordo fra le istituzioni per lanciare la Conferenza è stato raggiunto soltanto venerdì 7 maggio e che l’evento di avvio ha rischiato di saltare. Il regolamento ufficiale dei lavori, poi, è stato adottato ancor più a ridosso della cerimonia, la mattina stessa dell’evento. 

L’organo che dovrà tradurre l’idea della democrazia partecipativa in realtà è la Plenaria della Conferenza, un mix di politici e persone comuni a cui è affidato il compito di elaborare le conclusioni finali. La sua composizione, oggetto di lunghe trattative fra le istituzioni europee, è un inno al bilanciamento dei poteri: 433 membri in tutto, di cui 108 saranno deputati europei e 108 parlamentari nazionali; 54 rappresentanti del Consiglio dell’UE (due per ogni Stato membro) e tre della Commissione europea. A questi si aggiungono 18 membri a testa del Comitato delle Regioni e del Comitato economico e sociale europeo, più altri otto rappresentanti delle parti sociali e otto della società civile. 

Ma soprattutto, ci saranno gli europei comuni, per quasi un terzo del totale. I 108 membri popolari arriveranno dai panel, europei e nazionali: incontri di cittadini, le cui modalità di selezione devono però essere ancora definite. Di certo ci sarà una quota minima di persone sotto i  25 anni e un seggio è riservato alla finlandese Silja Markkula, presidente del Forum della Gioventù Europea.

Il cuore pulsante della Conferenza è la piattaforma digitale multilingue, che fornirà, sempre su iniziativa dei cittadini, i temi di discussione. Dopo un anno in cui le idee saranno discusse, sviscerate e analizzate, arriverà il momento della sintesi: la Plenaria presenterà le sue proposte al Comitato esecutivo, l’organo di supervisione composto da rappresentanti di Parlamento, Commissione e Consiglio dell’UE e insieme partoriranno il rapporto finale, in tempo per la primavera 2022.

A prescindere da un processo complesso e arzigogolato, il discrimine fra un’efficace opportunità di cambiamento un lungo brainstorming fine a sé stesso è segnato da due variabili: la partecipazione effettiva dei cittadini europei e la disponibilità reale delle istituzioni comunitarie a recepire le loro proposte. 

«Il successo della Conferenza sul Futuro dell’Europa sarà misurato, da un lato, sulla capacità di innescare un dibattito aperto e autentico e dall’altro sull’ambizione degli attori istituzionali a spingere per una vera agenda di riforma», spiega a Linkiesta Brando Benifei, capo-delegazione del Partito Democratico all’Europarlamento.

Il bisogno di apertura alla popolazione europea, uscendo dall’autoreferenzialità della “bolla” di Bruxelles è sottolineato anche dall’eurodeputata del Movimento Cinque Stelle Laura Ferrara: «Abbiamo bisogno di un’Unione Europa trasparente, che faccia sentire il cittadino al centro delle politiche europee, coinvolto, ascoltato e orgoglioso di far parte di un progetto che non lascia nessuno indietro». 

Per la parlamentare sarà necessario perseguire obiettivi ambiziosi: «Ad esempio il superamento delle rigide regole del Fiscal Compact, introducendo lo scorporo degli investimenti nel green, nella ricerca, nell’istruzione e nella cultura dal pareggio di bilancio», afferma a Linkiesta.

Pure dalla parte opposta dell’arco politico, arriva la richiesta di cambiamenti radicali «Serve un’analisi approfondita degli errori commessi dall’Ue negli ultimi 25 anni», dice a Linkiesta Marco Zanni, presidente del gruppo di Identità e Democrazia. «Ci sono regole assurde che hanno soffocato i Paesi europei: il Patto di stabilità e crescita, il modello di sviluppo socio-economico europeo basato sulla compressione dei salari per favorire l’export».

Il deputato della Lega non è convinto dallo «sforzo di propaganda» sul tema e sottolinea le «tante promesse e frasi fatte» della giornata inaugurale. Come gli altri, però, sembra augurarsi una partecipazione popolare più ampia possibile, auspicando un esercizio i cui risultati non siano pre-stabiliti.

Mentre l’inclusione diretta dei cittadini nel processo democratico è un risultato alla portata, più complicato è capire al momento quale sarà l’orizzonte effettivo di manovra. «Vogliamo che questa conferenza discuta di noi stessi senza tabù e ci dia delle soluzioni concrete per migliorarci», ha detto nel suo discorso inaugurale il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, facendo anche esplicito riferimento alla necessità di allargare e definire meglio le competenze europee, così come ad abolire il diritto di veto, conseguenza ineluttabile del voto all’unanimità fra gli stati membri. 

Se il buongiorno si vede dal mattino, però, la strada si annuncia molto tortuosa: nei negoziati preliminari alla Conferenza, che ne hanno definito le regole, il Parlamento ha spinto per rendere il margine d’azione più ampio possibile, includendo la possibilità di riformare i trattati. I rappresentanti degli Stati nazionali hanno invece tirato il freno a mano. 

Il risultato è il più classico disaccordo costruttivo, un metodo di lavoro interpretabile da ciascuna istituzione nella maniera più funzionale ai propri obiettivi e non esplicito a sufficienza da scontentare nessuno. Come spiega il deputato dei Verdi tedeschi Daniel Freund, componente del Comitato esecutivo, i cittadini detteranno l’agenda e avranno voce in capitolo sui risultati finali. Ma soprattutto, la Conferenza sarà aperta a ogni input e non saranno scartate a prescindere quelle proposte che chiedono una revisione dei trattati.

D’altra parte, tuttavia, non è menzionata nell’accordo sulle regole nessuna nuova possibilità legislativa come sbocco dei lavori. Allo stato attuale, ogni modifica deve passare dall’Articolo 48 del Trattato sull’Unione europea, che richiede l’approvazione all’unanimità dei Paesi membri, restituendo così al Consiglio europeo l’ultima parola.  

Perlomeno, il Parlamento europeo ha ottenuto il coinvolgimento della Plenaria nella stesura del testo finale, evitando così che a un dibattito pubblico e aperto seguisse una conclusione negoziata dietro le quinte. La sensazione preminente, nelle considerazioni di parlamentari e addetti ai lavori, è che la conferenza costituisca una grande possibilità di svolta per il funzionamento dell’UE, soprattutto per il periodo straordinario in cui è calata.

Come sottolinea il deputato Brando Benifei, in gioco ci sono non solo gli strumenti per affrontare le sfide attuali e future, ma anche «la necessità di un’Unione che parla con una sola voce sullo scenario mondiale».  L’altro lato della medaglia è il rischio di un sostanziale fallimento: una replica, su larghissima scala, dei conflitti inter-istituzionali che già segnano la vita quotidiana comunitaria o al limite un «esercizio di politica intellettuale», per usare le parole della presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Le grandi aspettative di oggi troveranno conferma, o smentita, tra un anno.

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