Francesco Costa, vicedirettore del Post, autore di ”Una storia americana” (Strade Blu Mondadori), titolare di una seguitissima newsletter, diventata anche un podcast (“Da Costa a Costa”) sulla politica americana, da qualche giorno conduce “Morning”, una rassegna stampa in podcast per i lettori del Post. Qui risponde al questionario de Linkiesta, ispirato a The Interrogator di Monocle, sui suoi consumi informativi e culturali e sul suo diffidente rapporto con la musica.
Come sta andando “Morning”?
Molto bene, sia come numeri che come feedback. Volevamo fare da tempo una rassegna stampa quotidiana del Post e siamo felici di esserci finalmente riusciti, ci sembra che funzioni. Io mi sto divertendo ma devo ancora trovare un equilibrio nel ritmo sonno-veglia, perché ora la sveglia suona alle 4.45.
Se mentre dormivo nel mondo è successo qualcosa di grosso, trovo le notifiche delle app di news sulla schermata home del telefono. Poi un’occhiata a Twitter dal letto. Una volta seduto, oggi comincio dai quotidiani; prima consultavo innanzitutto le homepage dei siti italiani e internazionali.
Caffè americano e Fiorella dell’Esselunga.
Sotto la doccia cosa canticchia?
Vado molto a periodi, ma non ho ancora trovato una canzone da doccia migliore di “Stuck In The Middle With You”. Quella della scena dell’orecchio nelle “Iene”.
Corriere, Repubblica, Foglio: il resto in ordine sparso.
Con questa risposta rischio di essere bandito a vita sia dal mio direttore che da quello di Linkiesta, ma ho un rapporto strano con la musica. Non posso dire che non mi piaccia, ma non credo di aver mai avuto il pensiero «voglio proprio ascoltare della musica». Credo mi manchi il chip giusto nel cervello. Ci sono cose che mi piacciono di più di altre, e occasionali innamoramenti, ma ne faccio un ascolto più incidentale che intenzionale.
Come la ascolta: in streaming, vinile, alla radio?
Spotify, più raramente col giradischi a casa.
I magazine che non mancano sul divano nel weekend?
Bloomberg Businessweek, New York Magazine, New Yorker.
”Non dire niente” di Patrick Radden Keefe. Una storia pazzesca – e vera – nel contesto dei Troubles, la lunga guerra in Irlanda del Nord.
Sto colmando una grave lacuna: “Friends”. Durante gli arresti domiciliari della seconda ondata mi ha raddrizzato tante giornate, sono quasi alla fine. E poi “Yellowstone”, tra le cose più recenti.
Instagram. È popolato da una grandissima quantità di persone giovani (non si può dire lo stesso di Facebook) e piuttosto disinteressate alla polemica e al litigio perenne (non si può dire lo stesso di Twitter), almeno nella mia bolla. Ed è l’unico social realmente multimediale.
In viaggio o mentre mi alleno. Anche per questo, nell’ultimo anno ne ho ascoltati meno di prima.
Quasi sempre un film o una serie tv, mentre evito come la peste i talk show. Tutto questo sul divano, comunque: una volta a letto, il telefono dice che mi addormento in media cinque minuti dopo aver raggiunto la posizione orizzontale. Niente libri sul comodino.
Qui le puntate precedenti di La dieta culturale