Pornografia giudiziariaI verbali del caso Grillo e l’ossessione italiana per i processi di piazza

Gli interrogatori di una ragazza che denuncia uno stupro non dovrebbero finire in prima pagina. È ora di spezzare il circolo vizioso tra cattiva giustizia e cattiva informazione, come ci ricorda anche l’assoluzione del sindaco di Lodi

Tutti i principali giornali offrivano ieri ampi virgolettati tratti dagli interrogatori della ragazza che ha denunciato per stupro il figlio di Beppe Grillo e tre suoi amici. Ma il titolo più significativo era quello di Repubblica: «Grillo, i verbali inediti di Silvia». Proprio così, a questo siamo arrivati: al titolo che promette al lettore «verbali inediti», neanche si trattasse di un romanzo.

Come spesso accade, il linguaggio è spia di un modo di pensare che ha una sua aderenza alla realtà. Da decenni ormai verbali di interrogatori e intercettazioni sono diventati infatti un vero e proprio genere letterario, con cui si riempiono i giornali, e poi i libri, e perfino i copioni delle trasmissioni televisive (quando non si possono trasmettere direttamente gli audio, si fanno interpretare i brogliacci ad appositi attori).

Il fatto che a farne le spese oggi sia (anche) la famiglia Grillo, e indirettamente il Movimento 5 stelle, vale a dire la forza politica che più di ogni altra ha alimentato, promosso e difeso questo genere di processi di piazza, non significa nulla. Non c’è nessuna nemesi, nessuna lezione, nessun chi la fa l’aspetti da cui sia possibile trarre alcuna morale. C’è semplicemente la conferma di un sistema ormai standardizzato, automatizzato, industrializzato.

Giusto ieri è stato assolto in appello Simone Uggetti, sindaco di Lodi clamorosamente arrestato e sbattuto in cella per il reato di turbativa d’asta – dico: turbativa d’asta – cioè, in concreto, per aver cercato di scrivere un bando in modo da far risparmiare qualche soldo al Comune nella gestione delle piscine. Assolto perché il fatto non sussiste. E adesso andate a rileggervi i giornali del 2016. Non si impara niente da niente.

Il video di Grillo in difesa del figlio, un mese fa, ha suscitato molte proteste per quello che è stato definito un classico caso di «victim blaming». Si è detto che questa è la ragione per cui tante donne non riescono a trovare la forza di denunciare: perché temono di finire loro sotto accusa, esposte a una simile gogna.

Mi domando se la pubblicazione su tutti i giornali dei propri interrogatori, in cui si racconta una vicenda tanto delicata, non sia un disincentivo almeno altrettanto potente, oltre a essere sempre un fattore di condizionamento improprio della giustizia e una pena accessoria per tutte le persone coinvolte, tanto più arbitraria in quanto a oggi, nel caso in questione, un regolare processo non è nemmeno iniziato, e per quanto ne sappiamo potrebbe anche non cominciare mai.

E non è neanche vero che sottrarsi a questo gioco, da parte della stampa, sia impossibile. Basterebbe la volontà di farlo, come dimostra il meritorio esempio di un giornale che ieri a questa gara ha avuto la forza di sottrarsi, e cioè il Fatto quotidiano, inaugurando così un indirizzo che sono certo manterrà a lungo, e non solo per questo caso.

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