TRAMEZZINI
Ma pranzare o cenare all’interno di una struttura è sicuro? In molti se lo chiedono, l’interrogativo è legittimo. E la risposta è ovvia: no. Non è sicuro come nulla, in un periodo così complesso. Ma è un “rischio calcolato”, esattamente come la riapertura alla vita e al lavoro di qualche settimana fa. Ma il rischio è calcolato sulle nostre capacità di rispettare le regole.
I ristoratori possono fare qualcosa per rendere questo rientro un po’ più sicuro? Sì, e forse lo Stato potrebbe dar loro una mano in questo senso, oggi più che mai.
Come? Con qualche accortezza in più, evitando di fare polemiche sul numero di commensali, con una nuova attenzione ai codici Ateco e soprattutto con la collaborazione dei clienti, perché ognuno faccia la sua parte. Soprattutto al chiuso.
È vero: oggi è consentito pranzare e cenare al chiuso.
Il dibattito tavoli per quattro solo in zona gialla, tavoli per quattro anche in zona bianca, che vede il ministro Speranza fronteggiarsi con il ministro degli Affari Regionali sembra superato, con la decisione di permettere, in zona bianca, di mangiare allo stesso tavolo senza limiti se si è all’aperto e in massimo sei persone al chiuso.
Ma il dibattito porta alla ribalta il vero tema: perché la scienza ha ormai chiarito che al chiuso non è importante la distanza tra le persone, ma il tempo di permanenza.
A giungere a questa conclusione sono stati due ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (Mit), Martin Z. Bazant e John W.M. Bush, che hanno sviluppato un modello in grado di calcolare il rischio di esposizione al Covid-19 in un ambiente interno e dare una stima di quanto tempo ci vorrebbe, in determinate circostanze, di essere contagiati. La loro conclusione è che stare alla distanza raccomandata potrebbe non essere sufficiente quando si è in un luogo al chiuso per lunghi periodi di tempo.
In sostanza, quindi, più che alla distanza, bisognerebbe prestare maggior attenzione al tempo di permanenza. Più a lungo qualcuno è in un luogo chiuso con una persona infetta, maggiore è la possibilità di trasmissione del virus. Insomma: in uno spazio al chiuso senza ventilazione non è tanto importante stare a distanza, ma stare con la mascherina e limitare il tempo di presenza.
Quella norma della regione Sardegna che ha tanto fatto sorridere, non è poi così assurda: «La zona bianca permette il ritorno degli avventori nelle sale interne dei ristoranti, purché sia garantito il limite di presenze contemporanee non superiore ad una persona ogni 20 metri cubi d’aria ed un tasso di ricambio dell’aria non inferiore a 0,5». Con buona pace dei maestri del centimetro.
C’è chi per ovviare alla ventilazione ha investito su un sistema di sanificazione dell’aria creato su misura, avvalendosi di un impianto di aerazione all’avanguardia, operante 24 ore su 24 in grado di distruggere batteri, virus e agenti inquinanti. «Ci sta a cuore la salute dei nostri ospiti così come quella di chi lavora per accoglierli – specifica Luigi Milini, ideatore del ristorante Olio di Origgio (MI) – Un anno fa abbiamo deciso di attuare un intervento strutturale che ci garantisse maggiore sicurezza e contribuisse a renderci uno spazio di alto profilo anche da questo punto di vista. Garantendo ai clienti un nuovo livello di sicurezza adatto al mondo che cambia e agli imprevisti che stravolgono i nostri stili di vita, abbiamo assunto un atteggiamento proattivo, ora ci auspichiamo che le Istituzioni recepiscano il messaggio e attuino le dovute distinzioni a livello normativo, permettendo a chi si è attrezzato di lavorare con maggiore continuità».
E magari sostenendo le attività che decidono di investire in un impianto così sofisticato e così efficace: l’innovativo sistema di sanificazione di tipo “attivo”, operante h24, grazie alla generazione di ioni ossidanti naturali è in grado di distruggere gli agenti inquinanti. La tecnologia applicata sfrutta l’azione combinata dei raggi di una speciale lampada UV con una struttura catalizzatrice costituita da una lega metallica con matrice a nido d’ape. L’azione della lampada UV ad alta intensità garantisce una reazione fotochimica di ossidazione da cui si ottengono composti ossidanti diffusi nell’ambiente circostante in minime quantità, che consentono una sanificazione sicura, efficace e completa.
Ma se abbiamo risolto il problema dell’aria e del distanziamento, è ancora aperto quello sui codici Ateco: con una lettera-appello al premier Mario Draghi lo chef dello storico ristorante San Domenico di Imola Max Mascia chiede di rivedere i codici Ateco, la classificazione delle attività economiche, che così come sono: «Mettono a rischio le attività della ristorazione facendo spesso di tutta un’erba un fascio. Ora che siamo tutti ripartiti – dichiara all’Ansa lo chef – è il momento che qualcuno a livello governativo si occupi di risolvere il problema, altrimenti ho seri dubbi che questa ripartenza durerà a lungo. Possiamo aprire le sale interne e avere tavoli da più di quattro persone, ma dobbiamo prevenire prima di tutto se no continueremo a vivere alla giornata e in balia degli eventi come da un anno e più. Un buon Governo lavora in prospettiva – conclude – e come a noi viene richiesto di aggiornarci e fare investimenti, è ora che anche i codici Ateco, ormai ultra datati, vengano rivisti e attualizzati, sennò chi ci assicura che in autunno non saremo punto e capo?».
E noi? Noi andiamo al ristorante, se possibile stiamo all’esterno, e se non lo è teniamo la mascherina anche tra una portata e l’altra. In fondo, è un minuscolo sacrificio che possiamo senz’altro sopportare, pur di tornare a fare quello che amiamo di più.
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