Vino sul divanoNon c’è sagra che valga un ristorante (o quasi)

Tra i vini senza origine, affascinanti proprio per questo, cantine inclusive e storie di Prosecco, anche per questo luglio alziamo i calici e brindiamo alle ultime novità enologiche, dibattendo su feste popolari montane dedicate al pesce di mare (sic!)

Illustrazione di: afgraphics__

Mi scuserete se esco un attimo dal tracciato che più mi è consono, quello del vino, per affrontare un tema di cui si parla sempre molto poco, ma che ha una relazione diretta con il fatturato di tanti ristoranti, durante l’estate: quello delle sagre cosiddette gastronomiche. Le sagre di paese.
Dovete infatti sapere che nelle scorse settimane in diverse regioni italiane c’è stato un certo dibattito a proposito della loro fattibilità, cioè sulle condizioni necessarie per garantirne lo svolgimento in piena sicurezza. Ahimè, dispiace sottolineare quanto l’esito di questa discussione fosse piuttosto scontato. Da una parte le tante Pro loco sparse su tutto il territorio nazionale la cui unica attività, o quasi, è quella relativa all’organizzazione della sagra estiva del proprio paese. Dall’altra classi politiche molto attente ai numeri di un consenso che si dimostra sempre essere uno dei pochi indici a cui fare riferimento. Nel mezzo i tanti ristoratori che vivono queste manifestazioni come spettatori inermi, e che a causa loro vedono spesso sfumare parte del loro fatturato per diversi giorni consecutivi.
Questo il punto centrale: un po’ dappertutto è stato trovato un compromesso sulla durata di queste manifestazioni di carattere locale. Durata spesso inferiore a quella precedente la pandemia, ma comunque sempre abbastanza significativa. Un esempio: considerati luglio e agosto come mesi di particolare attività, 6 giorni di sagra, e magari un turno di riposo settimanale, corrispondono a più del 10 per cento di quelli di apertura di un normale ristorante. Poco importa che questa debba essere per la ristorazione la stagione del riscatto, il periodo durante il quale provare a tamponare le straordinarie perdite di fatturato dei mesi scorsi. Sagre peraltro il cui scopo dichiarato è raramente quello di valorizzare una specifica produzione locale, mettere in luce e far conoscere al grande pubblico un prodotto radicato nella tradizione del territorio, quanto più frequentemente quello di riunire il maggior numero di persone possibili in nome della festa paesana.
Senza scomodare l’imbarazzante Sagra del Pesce di Mare ospitata dal piccolo borgo umbro non lontano dalla città dove vivo, paesello che dista esattamente 111 chilometri dal litorale più vicino, appare evidente come questa formula sia spesso stanca e potrebbe brillare di nuova luce proprio attraverso il coinvolgimento della ristorazione locale. Ma hey, indovinate qual è la principale voce tra i ricavi di ogni sagra.
Ma torniamo a parlare di vino. Inclusion, as urgent as fermentation. Continua il racconto di storie di inclusione sul sito di Jancis Robinson. Questa sulla bella vicenda di una cantina sudafricana nata nel 2003: Epicurean Wines.
L’ottimo Tom Hyland sulla recente approvazione delle UGA – Unità Geografiche Aggiuntive – nel Chianti Classico, ovvero la possibilità di menzionare sulle etichette dei Gran Selezione il loro luogo di provenienza. Tutto molto bello, a patto che si sbrighino a estendere la possibilità anche ai veri vini del Chianti Classico: i Riserva e soprattutto gli “annata”.
Angolo notizie di carattere economico: il gruppo Moët Hennessy Louis Vuitton, gigante del lusso conosciuto come LVMH, ha stretto una partnership con Campari per entrare nel capitale sociale di Tannico. Il più grade e-commerce italiano solo qualche mese fa aveva acquisito il controllo di Ventealapropriete.com, piattaforma tra le più rilevanti del panorama francese.
Torniamo al vino bevuto. Fiorenzo Sartore, già tra i fondatori di Intravino e storico enotecario genovese, ha scritto sul suo blog un bel report da Dolceacqua, zona da cui vengono vini fantastici e di cui si parla sempre troppo poco.
Se avete letto la newsletter del mese scorso ricorderete di Brienne Allan, la persona grazie alla quale è nato un grosso movimento contro le molestie nel mondo della birra. Nei giorni scorsi ha raccontato della nascita di #notme, piattaforma che permette di segnalare in maniera anonima episodi che possono essere vissuti come disdicevoli.
These LGBTQ+ Wine Pros Are Shaking Up an Age-Old Industry. Un pezzo pieno di storie su Thrillist.
Sono ormai diversi anni che si sente parlare sempre di più di Savoia, regione vitivinicola francese poco oltre il confine italiano, a sud-est della Borgogna. Un’area i cui vini negli ultimi tempi non solo sono cresciuti molto, ma che si sono anche trovati nella fortunata posizione – dopo quelli dello Jura – di andare incontro alle necessità di appassionati sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo e di economicamente accessibile, visti anche i sempre crescenti prezzi delle bottiglie prodotte nelle regioni limitrofe. Ne ha scritto Eric Asimov sul New York Times: «This Alpine region in eastern France was little known until recently, its gorgeous wines are distinctive and immediately appealing».
Do they transcend a sense of place, or are they wines of no place? Ancora Eric Asimov su un tema particolarmente interessante, quello dei vini “senza origine”, prodotti utilizzando uve provenienti da luoghi lontani tra loro, tendenza che anche in Italia è possibile osservare in diverse collaborazioni tra piccole cantine, a volte molto distanti. Lo spunto nasce da due nuove cuvée di Penfolds, grossa e importante cantina australiana, fatte con uve raccolte in California e in Australia, appunto. Quel “di più” che può dare il territorio è qualcosa a cui non vorrei mai rinunciare, dice Asimov: «Deliciousness is never to be underestimated. I’m sure bottles of Quantum 98 will be empty at the end of the meal. But given the option, I will always choose delicious wines with the added value of inspiring inquiries into their origins».
Su Cronache di Birra un report sull’andamento dei consumi nel 2020. Spoiler: per la birra artigianale è andata molto male.
Sempre stato affascinato dai Coteaux Champenois, i vini fermi che vengono prodotti in Champagne. Scrive Margaret Rand che il numero di etichette interessanti è in costante crescita.
Robert Camuto di Wine Spectator è stato da Ferrando, a Carema. Il Nord Piemonte fa sempre più parlare di sé.
Alcuni studi descrivono il consumo di alcol come un’esperienza umana primordiale, inquadrandolo in una prospettiva che potrebbe aiutare a limitarne i danni. Sul Post.
What They’re Drinking in Tokyo: un po’ di tutto, a conferma di una tra le città del mondo più interessanti dal punto di vista del bere.
Terroirs: the wine bar that changed how we drink and dine. Su Club Oenologique il racconto di un locale che ha fatto la storia del vino, a Londra (curioso che lo stesso possa valere per un locale che ha quasi lo stesso nome, Terroir, a New York City).

Illustrazione di: han_yuming

Daniel Barbagallo è uno di quei bevitori appassionati che aprono bottiglie assai importanti e assai costose e che poi ne scrivono riuscendo nel difficilissimo compito di non apparire mai troppo presuntuosi, troppo pieni di sé. Su Intravino ha raccontato della sua incredibile visita in uno dei domaine più inaccessibili del mondo, ospite nientepopodimenoche di Madame Leroy, leggenda della Borgogna. Bonus: il giorno dopo è stato da Domaine d’Auvenay.
Sempre su Intravino Massimiliano Ferrari ha iniziato una serie di gran belle interviste dedicate allo stato dell’arte dell’editoria indipendente, nel vino. Ha chiacchierato con Lorenzo Cibrario di Mostocon Samuel Cogliati di Possibiliacon Camillo Favaro di Artevino, altre sono in uscita nelle prossime settimane. Il panorama che emerge non è esattamente dei più entusiasmanti, ma di questo avremo modo di parlare in modo più approfondito, in futuro.
A proposito di Borgogna: sul sito dell’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea, una foto in altissima risoluzione di tutta la regione.
Questo è interessante: Why Austria is a Leader in the Natural Wine Movement, su Wine Enthusiast.
Anche questa: la (breve) storia del Prosecco in cui mi sono imbattuto l’altro giorno su Facebook, a cura di Fulvio Colombo.
Quando leggo del Beaujolais sono sempre felicissimo. The Rise, Fall, and Rise Again of Gamay.
Curioso come a volte la percezione delle cose sia così lontana dalla realtà. Da qui, dall’interno della mia bolla, il calore dei vini, ovvero il loro grado alcolico, mi è sembrato in questi ultimi anni andare via via diminuendo. Per certi versi è così: il fenomeno dei vini glou-glou, da 10/11 gradi, è lì a dimostrarlo. Si tratta però e appunto di un fenomeno assai circoscritto, questa ricerca pubblicata su Sprudge dimostra proprio il contrario: mediamente i vini sono sempre più alcolici.
Ci sentiamo il prossimo 19 agosto. Buona estate, ciao!

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