Dopo vent’anni è tornato l’Emirato islamico dell’Afghanistan. La presa di Kabul da parte dei talebani ha completato una campagna militare inarrestabile che ha riconsegnato il Paese al gruppo terroristico che aveva lasciato il potere nel 2001, quando l’arrivo degli Stati Uniti e delle milizie NATO li aveva costretti alla ritirata. La ressa di persone all’aeroporto della capitale afghana che fanno di tutto pur di lasciare il Paese è un monito per il mondo occidentale e l’Unione europea: come saranno accolti i profughi che lasceranno l’Afghanistan?
La domanda è lecita soprattutto per l’Europa, visto che già 550mila afghani vivono in Germania, Regno Unito, Svezia, Austria, Danimarca, Norvegia, Belgio, Svizzera, Paesi Bassi, Francia, Italia, Finlandia e Romania. Il numero è destinato a salire nelle prossime settimane e le istituzioni nazionali ed europee dovranno farsi trovare pronte.
Per ora Bruxelles è ancora alle frasi di circostanza. «Occorre proteggere la vita umana e ripristinare l’ordine civile. Gli afghani meritano di vivere in sicurezza e dignità. La comunità internazionale sostiene e invita tutte le parti a facilitare la partenza sicura di cittadini stranieri e afgani che desiderano lasciare il Paese», è stato il tweet inviato da Josep Borrell, Alto rappresentante per gli affari esteri dell’Unione, che domani presiederà un vertice straordinario con tutti gli omologhi europei.
Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha invece evidenziato la necessità di far lasciare l’Afghanistan il più velocemente possibile a tutti i cittadini europei presenti nelle ambasciate, ai loro staff e alle loro famiglie concludendo, quasi sibillino, «che andranno tratte molte lezioni da questa storia».
Michel e Borrell hanno dovuto rincorrere un tweet di Michel Barnier, il negoziatore della Brexit per conto della Commissione europea che ha chiesto fin da subito un Consiglio europeo straordinario: «Tutti i leader europei devono imparare insieme le lezioni dell’attuale tragedia in Afghanistan. Non è solo un fallimento americano. Sicurezza, terrorismo, islamismo, migrazione, stabilità regionale: queste sono anche le nostre sfide». Una richiesta che hanno fatto loro anche gli eurodeputati del Partito democratico che, in una lettera indirizzata ai vertici comunitari, hanno chiesto «una risposta comune europea per creare canali di accesso e corridoi umanitari, con una particolare priorità per le donne, i minori e le famiglie».
Anche senza incontro, però, la divergenza di opinioni tra i Paesi pare evidente. Infatti, ancora pochi giorni fa, per la precisione il 5 agosto, i ministri degli Interni di Germania, Austria, Danimarca, Belgio, Paesi Bassi e Grecia avevano inviato una lettera alla Commissione europea sostenendo come «fosse sbagliato fermare i rimpatri forzati verso l’Afghanistan. Vanno effettuati i rimpatri sia volontari che non volontari perché fermarli invierebbe il segnale sbagliato e motiverebbe ancora più cittadini afgani a lasciare la propria casa per l’UE». La rapidissima avanzata dei talebani ha però cambiato la situazione costringendo anche i Paesi Ue più riottosi a sospendere le procedure di rimpatrio. Una richiesta che aveva già fatto a inizio agosto la Corte europea dei diritti dell’uomo, che aveva intimato all’Austria di non procedere al rimpatrio di un cittadino afghano, presente nel Paese, almeno fino alla fine di agosto a causa del «rischio di danno irreparabile» per il richiedente asilo.
Il timore dei leader europei è chiaro: l’arrivo in massa di profughi afghani nel Vecchio Continente, in numero uguale se non superiore a quella dei siriani nel 2015. Ma qual è la situazione oggi dei profughi afghani in Europa? Secondo dati Eurostat, dal 2008 a oggi gli Stati europei hanno valutato 600 mila richieste d’asilo da parte di afghani e ne hanno rifiutate ben 290 mila, con il rimpatrio di oltre 70 mila persone, tra cui 15-20 mila donne.
L’Italia si distingue per la quota del 90 per cento di richieste di asilo accettate, mentre la Germania si è detta favorevole a rimpatriare oltre 30 mila afghani residenti, come ha spiegato Steve Alter, portavoce del ministero degli Interni. I numeri però sono decisamente superiori: nel Paese si stima siano oltre 270 mila gli afghani presenti, una comunità importante che, per esempio, ad Amburgo risulta essere la terza minoranza, dopo polacchi e turchi. La questione ha quindi una fondamentale rilevanza, soprattutto a livello elettorale visto che a settembre i tedeschi sceglieranno il successore di Angela Merkel, al governo ininterrottamente negli ultimi 16 anni.
Ed è proprio la Cancelliera quella probabilmente rimasta più sorpresa dall’andamento della situazione in Afghanistan: a luglio aveva dichiarato in conferenza «che non possiamo risolvere tutti questi problemi facendo entrare tutti. Servono negoziati politici affinché le persone possano vivere nel modo più pacifico possibile nel proprio Paese». Con il peggioramento rapido della situazione la stessa Merkel ha mostrato «la propria amarezza per come si è evoluta la situazione. Adesso dobbiamo concentrarci unicamente sul salvataggio dei membri dell’ambasciata tedesca».
In molti però vorrebbero che venisse fatto anche qualcosa di più. «Ora la nostra massima priorità è portare al sicuro le persone che hanno lavorato per tutti noi in Afghanistan negli ultimi anni: personale dell’ambasciata, ONG, istituzioni per lo sviluppo, media, fondazioni e il personale locale che ha sostenuto questo lavoro. In pericolo sono i rappresentanti dei diritti umani e delle donne, i giornalisti e gli operatori culturali che hanno fatto campagne per lo sviluppo di una società civile democratica», hanno spiegato allo SPIEGEL i presidenti della SPD Saskia Esken e Norbert Walter-Borjans.
Il Partito socialdemocratico tedesco rimane però sostanzialmente allineata alla posizione della CDU, che vorrebbe aiutare i Paesi vicini a ospitare i migranti e non instaurare corridoi umanitari, una prospettiva immaginata invece dai Verdi. «Non bisogna aspettare che i 27 Paesi europei siano pronti. Serve accordarsi con americani e canadesi per concordare insieme regole chiare sulle quote», ha dichiarato la candidata cancelliera dei Grünen Annalena Baerbock.
All’interno dell’Unione c’è in effetti chi già pone i primi distinguo. Ungheria e Bulgaria sono stati gli unici due Paesi a non sottoscrivere una dichiarazione europea che sosteneva la volontà di concedere a tutti gli afghani e ai cittadini internazionali che desiderino partire la possibilità di farlo. L’Austria ha dichiarato che manderà l’esercito alla frontiera con l’Ungheria e la Slovenia per prevenire l’ingresso di profughi dall’Afghanistan.
Situazione più complessa in Francia: come racconta Le Monde, da inizio maggio Parigi ha già accolto più di 800 cittadini afghani impiegati nelle strutture francesi presenti nel Paese e le loro famiglie. «Insieme alla Germania e agli altri Paesi europei che ci staranno proporremo un’iniziativa comune per anticipare e proteggere l’Europa da flussi migratori irregolari che alimentano traffici di ogni tipo», ha dichiarato il presidente Emmanuel Macron in un discorso alla nazione. Gli afghani finora accolti sono però solo una piccola parte di quelli che hanno effettivamente fatto richiesta. Come racconta il quotidiano francese, infatti, sono più di 8 mila le richieste di asilo avanzate ai consolati di Kabul e Islamabad, in Pakistan, tra il 2020 e il 2021, ma di visti ne sono stati concessi pochissimi, anche a causa dei tempi lunghi della burocrazia. Per questa ragione sono state coinvolte anche le ambasciate di Nuova Delhi e Teheran, ma per molti afghani raggiungerle diventa un problema.
Anche in Belgio, uno dei Paesi firmatari della lettera alla Commissione. I Verdi, membri della coalizione di governo, hanno timidamente chiesto la sospensione dei rimpatri. Più ambiguo il segretario di Stato per l’asilo e le migrazioni, Sammy Mahdi, che ha dichiarato «come il Belgio continuerà a offrire protezione a chi fugge dalla guerra ma non possiamo accettare l’idea una moratoria sulle espulsioni».
In Grecia, il ministro della Migrazione e dell’Asilo, Panagiotis Mitarakis, ha dichiarato che «l’Europa non ha la capacità di far fronte a una grave crisi migratoria. Per questo va rafforzata la cooperazione con i Paesi vicini, come Iran e Pakistan». Peccato però che l’Unione abbia già speso tra il 2014 e il 2020 ben 255 milioni di euro tra Afghanistan, Pakistan e Iran per controllare il flusso di profughi. A oggi sono già 3,5 i milioni di rifugiati presenti nella Repubblica degli Ayatollah e 1,4 quelli di cui invece si deve occupare il governo di Islamabad. Con già 5 milioni di sfollati all’interno dei confini, secondo una stima del capo dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni delle Nazioni Unite, Antonio Vitorino, aiutare soltanto i vicini potrebbe non bastare.