«Tornare al Viminale è stata una forte emozione, sono onorato di questo incarico e credo di essere stato scelto perché ne ho i titoli, non certo per chissà quale rivalsa…». Il leghista Roberto Maroni, già segretario del Carroccio, ex ministro dell’Interno e del Lavoro nei governi Berlusconi e già governatore della Regione Lombardia, rientra al Viminale dieci anni dopo nominato da Luciana Lamorgese alla presidenza della Consulta «per l’attuazione del Protocollo d’intesa per la prevenzione e il contrasto dello sfruttamento lavorativo in agricoltura e del caporalato».
Una nomina decisa di concerto dai ministri Lamorgese, Orlando, Patuanelli, e dal presidente del Consiglio nazionale di Anci, Enzo Bianco. Per Maroni si tratta di un ritorno sulla scena politica, dopo aver affrontato anche problemi di salute. «È stata davvero un’emozione, soprattutto quando mi sono ritrovato nella sala Roma, che da ministro, nel 1994 avevo ironicamente ribattezzato sala Varese. Ero il primo ministro degli Interni non democristiano e ricordo che il mio predecessore, Nicola Mancino, rifiutò di partecipare al passaggio di consegne, uno sgarbo istituzionale mai avvenuto prima e dopo», racconta Maroni al Corriere.
Quello, però, è anche il ministero in cui è stato Matteo Salvini, leader della Lega, che sta attaccando quotidianamente il ministro Lamorgese. Tanto che qualcuno legge questa nomina come una provocazione. Maroni commenta: «Lo so e ne ho voluto parlare direttamente con Luciana Lamorgese che mi ha assicurato che non c’è dietro nulla che vada al di là delle mie competenze. A scanso di equivoci, pur avendo firmato il protocollo in luglio, abbiamo aspettato a darne annuncio dopo i ballottaggi. Ma sinceramente credo di avere i titoli adatti per questo incarico: mi sono già occupato di caporalato e lavoro nero da ministro del Lavoro e da ministro degli Interni».
Salvini però non si è congratulato con lui: «Non mi ha telefonato, ma nel cellulare ho più di trecento messaggi e non li ho ancora letti. Sono certo che ci sarà anche il suo». E precisa: «Non faccio più politica attiva ma come dissi già ai tempi della crisi del primo governo Berlusconi, quando ero critico verso Umberto Bossi, io sono leghista e resterò nella Lega finché campo».
Maroni dice che si riconosce nella Lega attuale «perché vedo che non ha abbandonato le istanze del Nord. Anche se si è estesa a tutto il Paese, la caratterizzazione nordista resta evidente. E io continuo a credere che non vi siano prospettive per nuovi partiti del Nord».
Ma alle comunali di Milano e Roma lei per chi avrebbe votato? «Non avevo questo problema, ma posso dire che Gualtieri e Sala, in effetti, si presentavano più solidi dei loro avversari».
Ora, spiega, «avrò un ufficio al Viminale, dove sarò presente alcuni giorni alla settimana, e insieme al gruppo di lavoro formato da rappresentanti dei tre ministeri e dell’Anci sto già organizzando gli incontri nei territori. Si comincerà dalla Locride».