Il premio Nobel per la fisica 2021 Giorgio Parisi ha scritto anche favole per bambini, che ora legge a suo nipote di quattro anni. «Se la scienza oggi è in difficoltà – dice – è per la mancata diffusione della sua cultura. Per questo credo che andrebbe insegnata fin da piccoli».
Il Nobel allo scienziato che “vuole mettere ordine nel caos” non è stato l’unico motivo di orgoglio per il nostro paese, in questo annus mirabilis tutto tricolore. La sorpresa della nazionale di Mancini agli europei di calcio, il razzo Marcell Jacobs nei cento metri e il volo di Gianmarco Tamberi ai giochi di Tokyo, il fioretto di Bebe Vio e le 69 medaglie delle Paralimpiadi, gli allori nel volley e nel nuoto, hanno portato alla ribalta un’Italia giovane, multietnica e più inclusiva, determinata a vincere. E perfino in campo musicale, una band romana come i Maneskin è riuscita a espugnare l’Olimpo del rock planetario con la benedizione di Mick Jagger.
È come se, dopo la lunga notte della pandemia e del lockdown, gli italiani avessero sentito l’urgenza di rimettersi a lavorare, a correre, a fare gol. La sola cosa che fanno sempre più malvolentieri è andare a votare, come si è visto alle amministrative di ottobre, quando l’astensione ha raggiunto il 56%. Sintomo di una disaffezione crescente alla politica, soprattutto nelle fasce sociali più colpite dalla crisi, ma anche drogate da anni di retorica anticasta e di proclami mirabolanti e regolarmente disattesi (non per niente, bipopulismo è una delle parole nuove del 2021).
Non è un cruccio soltanto nostro: una delle prime immagini dell’anno è quella dell’attacco a Capitol Hill, tempio della democrazia americana, da parte di un’orda di seguaci di Trump, che rifiutano l’esito delle presidenziali (a ottobre, altre squadracce tenteranno di scimmiottare quell’impresa a Roma, assaltando la sede della Cgil).
Caos e ordine sono un po’ il Leitmotiv di questo Libro dell’anno. A mettere ordine nel caos della politica italiana ci sta provando il presidente del consiglio Mario Draghi con il suo indubbio prestigio internazionale, che ha contribuito a restituire fiducia ai cittadini e al paese un ruolo da protagonista sulla scena europea e mondiale, come si è visto nei giorni del G20 di Roma.
Il successo della campagna di vaccinazione coordinata dal generale Figliuolo, anche grazie all’introduzione del Green Pass, ci ha proiettato ai primi posti tra i paesi occidentali nel contrasto al Covid, e l’economia riprende quota a ritmi che non si vedevano da anni, anche se non bastano per ritornare ai livelli pre-crisi del 2008. Un argine contro il caos dei sovranismi viene dai fondi del Next Generation Eu: un’Europa finalmente generosa, che dà invece di prendere, e aiuta la crescita invece di imporre tagli, può rappresentare un antidoto efficace alle spinte disgregatrici forti soprattutto nelle nazioni dell’ex blocco sovietico, come Polonia e Ungheria.
Anche se poi non riesce a superare le ambiguità sul fronte dell’immigrazione, dove ancora si alzano le barriere anti-profughi di molti governi. E l’uscita di scena di una leader come Angela Merkel apre un vuoto difficile da colmare. Negli Stati Uniti, l’elezione di Joe Biden sembrava preludere a una riduzione del caos nelle relazioni internazionali, con il ritorno dell’America alle sue storiche alleanze e la ripresa del multilateralismo.
Ma la vicenda afghana ha frustrato le aspettative, e sul piano interno gli eccessi dell’ideologia woke (altra parola dell’anno) e della cancel culture ridanno fiato all’opposizione repubblicana. Ma il caos più grande di tutti è il clima: nell’anno della catastrofica alluvione in Germania, il G20 e la Cop26 di Glasgow hanno segnato qualche significativo, seppur limitato, passo avanti nella lotta al riscaldamento globale. Purtroppo la transizione verde non sarà priva di costi sociali, e le esitazioni del mondo sviluppato, insieme alla resistenza di grandi paesi come Cina e India, continueranno a rallentare il cammino verso un pianeta più respirabile.
E c’è, infine, il caos dell’informazione, dove le fake news inquinano le coscienze, spesso con la regia di forze oscurantiste. Ma le derive antiscientifiche dei No Vax sono un fenomeno che viene da lontano, molto prima che i vari Facebook si profilassero all’orizzonte. Basta rileggere quanto scriveva nel 1988 un altro Nobel (per la medicina) Daniel Bovet, svizzero naturalizzato italiano, pioniere dei farmaci antibatterici noti come “sulfamidici”: «Una delle cose che ha sorpreso la nostra generazione di ricercatori è stato veder crescere, parallelamente alla comparsa di trattamenti sempre più efficaci, la moda delle terapie “alternative”. Al posto dei procedimenti rigorosi della medicina classica, si preferisce la spiegazione magica, l’approccio irrazionale. Questa tendenza sembra il risultato di un malessere generale originato dallo stesso progresso scientifico, per certi versi troppo rapido, e spesso mal percepito dal grande pubblico».
Se davvero si vuole domare il caos dell’ignoranza, non serve (ammesso che sia possibile) mettere il bavaglio ai social: è la scuola, insieme alla ricerca, che deve tornare al primo posto nell’agenda dei governi.