Codice rossoAnche negli Stati Uniti si fa strada il concetto di assistenza sanitaria

Dopo il Covid, in tutto il mondo siamo più vicini di quanto non lo siamo mai stati prima all’idea che la cura della salute dei cittadini sia una cosa di cui debba farsi carico lo Stato. Eppure in America persiste un’antichissima diffidenza verso ogni intervento diretto del governo federale. Da Linkiesta Magazine in edicola, in libreria o su Linkiesta Store

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Il dottor Paul Farmer è cofondatore e chief strategist di Partners in Health, un’organizzazione che si dedica all’assistenza sanitaria e alle cure su base locale e che concentra la sua attenzione soprattutto su quelle regioni e quei Paesi che hanno risorse più scarse e patiscono di carenze alimentari. Farmer è anche presidente del Dipartimento di salute globale e di medicina sociale della Harvard Medical School ed è a capo della Divisione per l’uguaglianza sanitaria globale dello Brigham and Women’s Hospital di Boston. Farmer ha conversato con Patrick Healy, vicedirettore della sezione “Opinion” del New York Times.

Healy
Paul, lei hai lavorato per estendere e aumentare l’assistenza sanitaria in tutto il mondo per quasi quarant’anni. Vorrei sapere quanto siamo più vicini oggi a un’accettazione globale dell’inserimento della salute tra i diritti umani rispetto a quanto lo fossimo quando ha iniziato la sua attività negli anni Ottanta.

Farmer
Direi che, in ogni caso, ci siamo più vicini ora di quanto non lo siamo mai stati in precedenza, da che io mi ricordo. E questo vale anche per gli Stati Uniti dove l’assistenza sanitaria non è stata tradizionalmente considerata un diritto. E lo vediamo anche in Asia, in alcune parti dell’America Latina e in Europa. Penso che un forte stimolo lo abbiano dato i drammatici avvenimenti degli ultimi diciotto mesi. Vedere che cosa voglia dire attraversare una pandemia quando non si ha una forte rete di sicurezza è stata per molti una lezione oggettiva.

Healy
Parlando della pandemia – prendiamo gli Stati Uniti, per esempio – ci sono ancora, per certi versi, delle differenze di opinione a proposito delle responsabilità e cioè su quello che il governo federale dovrebbe fare, su quello che gli Stati dovrebbero fare, su quello che le amministrazioni locali dovrebbero fare e addirittura su che norme dovrebbero esserci. E si ha l’impressione che a volte l’idea dell’assistenza sanitaria come diritto umano non funzioni in questa discussione. Per quale motivo, secondo lei, negli Stati Uniti e in alcuni altri Paesi le cose stanno ancora così?

Farmer
Penso che questo sia solo uno fra i molti modelli che si possono usare per promuovere l’uguaglianza sanitaria. Gli altri – come, ad esempio, la sanità come bene pubblico – sono altrettanto importanti. Conta l’idea che ci siano certe cose su cui la responsabilità la prende un governo centrale. In molti posti dove ho lavorato, in Ruanda ad esempio, la vera spinta a investire in un sistema nazionale di assicurazione sanitaria e a lanciare un sistema che fornisca cure mediche si è basata sul presupposto che si trattasse del modo migliore per rompere il circolo tra povertà e malattia. Quindi, sia che si consideri la salute un diritto umano, si che si consideri la sanità pubblica un bene pubblico, sia che si ritenga che una rete di protezione sanitaria possa essere lo strumento per rompere il circolo tra povertà e malattia, tutte queste vie conducono comunque nella direzione giusta.

Healy
La sorprende che negli ultimi diciotto mesi, negli Stati Uniti e in alcuni altri Paesi, non ci sia stato più consenso sul modo di gestire non soltanto le cure per il Covid ma anche i costi e le spese dell’assistenza sanitaria, specialmente per le persone che avevano già fronteggiato in precedenza le disuguaglianze presenti nel sistema sanitario? O questa mancanza di consenso, almeno per certi versi, non è altro che un elemento di una democrazia funzionante? Che cosa ne pensa?

Farmer
Il nostro dibatterci tra governo federale e poteri locali va avanti da tempo. E la domanda a cui dobbiamo rispondere, come nazione, è: come mai siamo stati così scarsi nel fronteggiare il Covid? Dopo tutto noi abbiamo più risorse rispetto alla gran parte del mondo. Questo in parte ha avuto a che fare con il nostro sistema patchwork di fornitura di prestazioni mediche e con il nostro sistema patchwork di assicurazioni sanitarie, che sono a loro volta un riflesso di questa tensione di lunga data: sì, ci sono alcune questioni culturali che riguardano il concetto di essere libertari e c’è una storia di ostilità verso i tentativi del governo di intervenire nella vita dei cittadini.

Healy
Paul, lei è stato coinvolto per anni in molte partnership – settore pubblico, settore privato, donatori, governi – per portare risorse per le cure sanitarie e aiuti al settore medico in vari Paesi del mondo. Che cosa pensa che debbano fare il presidente Joe Biden e la sua Amministrazione per affrontare la richiesta globale di vaccini e la campagna vaccinale nel mondo? Perché negli Stati Uniti si dibatte molto se si debba fare un ulteriore richiamo a un maggior numero di cittadini fra quelli già vaccinati o se si possa invece fare di più per altri Paesi.

Farmer
Prima di tutto, voglio affermare che secondo me, per diversi aspetti, l’Amministrazione Biden ha avuto un inizio piuttosto buono. Naturalmente, il nostro criterio per parlare di un successo è un alto tasso di vaccinazioni. E non ce l’abbiamo. Ma ci sono specifici problemi che hanno a che fare con il trasferimento delle tecnologie che consentono di produrre altrove i vaccini, problemi che si riscontrano, direi, soprattutto nel continente africano. Lì c’è un contesto che dipende quasi completamente dall’importazione di vaccini – il 99 per cento dei vaccini che vengono usati in Africa sono di importazione – e c’è anche un livello molto basso di diffusione della vaccinazione che non può essere attribuito a riluttanza, a meno che non stiamo parlando della riluttanza delle élite locali verso l’introduzione di meccanismi per aumentare i vaccini.

Comunque, per quello che concerne il trasferimento delle tecnologie produttive l’Amministrazione Biden potrebbe fare di più. Le donazioni non sono ancora uno strumento efficace per vaccinare l’Africa su larga scala. E i meccanismi multilaterali non hanno funzionato in modo soddisfacente. Quindi, secondo me, ci sono molte aree in cui l’Amministrazione può mettere al centro l’uguaglianza vaccinale e la diplomazia vaccinale. Inoltre, ci sono anche posti geograficamente vicini agli Stati Uniti, come Haiti, che stanno fronteggiando disordini politici e disastri naturali mentre ora un’onda di rifugiati ritorna proprio nel mezzo della crisi. Ci sono quindi contesti, come Haiti appunto, in cui potremmo fare un lavoro migliore assicurando un aiuto non soltanto per quanto concerne il Covid ma anche per fronteggiare i numerosi altri problemi con cui il Paese si sta misurando. E queste sono circostanze che cambiano da un posto all’altro.

©️2021 The New York Times Company

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