Il paese a cinque stelleIl folle finale di legislatura e il rischio dell’astensionismo qualunquista alle elezioni

Tranne Meloni, nessuno vuole andare al voto, ma è sempre più probabile che si vada a elezioni tra settembre e ottobre, anche perché sia Salvini sia Berlusconi si sono detti (per ora) contrari a un traghettatore. In ogni caso ci aspetta un brutta campagna elettorale, nella peggiore condizione immaginabile per l’Italia

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Un finale di legislatura così folle, disordinato e dannoso era difficile da immaginare. Ogni partito cerca di uscire nel miglior modo possibile dalla crisi di governo, con meno ossa rotte. Forza Italia e Lega si sono stretti contro i Cinquestelle e l’incolpevole Partito Democratico. E allo stesso tempo si preparano a unire le forze contro Fratelli d’Italia per evitare che Giorgia Meloni dilaghi. Il Vaffa dell’ex presidente della Banca centrale europea, a meno di ripensamenti cui nessuno crede, sta segnando un finale di partita veramente eccentrico e preoccupante. 

La legislatura si era aperta all’insegna del populismo e rischia di chiudersi all’insegna dell’astensionismo qualunquista. Le forze populiste, in testa il Movimento 5 Stelle, portarono milioni di italiani alle urne. Le prossime elezioni saranno segnati dalla diserzione democratica. E questa volta si ha la sensazione, a meno di un miracolo politico e comunicativo, che a essere maggiormente colpiti saranno i partiti che avevano immaginato un campo largo o una coalizione progressista (Pd e M5S). La causa dell’uscita di scena di Draghi ha il volto di Giuseppe Conte, ma la Lega vuole trascinare nella responsabilità del pubblico ludibrio pure Enrico Letta, colpevole di avere portato in Parlamento, senza impegnare Palazzo Chigi, la discussione sulla cannabis e lo ius scholae. Andiamo verso una brutta campagna elettorale, nella peggiore condizione immaginabile per l’Italia. 

Quasi nessuno ormai crede che si possa evitare il voto tra settembre e ottobre. Le percentuali di questa eventualità nel centrodestra sono date al 70%. Perché nessuno pensa che il presidente del Consiglio (dimissionario nell’incredulità del mondo occidentale e tra gli applausi di Mosca) possa far finta di aver detto che è venuto meno il patto fondativo di fiducia sul quale è nata l’acrobatica unità nazionale. Ma nessuno, tranne Meloni che non ha nulla da perdere, vorrebbe mettere la testa dentro le urne, andare al voto: la paura di scoppole micidiali è enorme. E quando si ha paura si è capaci di tutto. E comincia la sarabanda dei sospetti e degli agguati.

Matteo Salvini sente odore di fregatura. È convinto che Letta e Renzi dicano di volere solo Draghi per continuare fino al 2023: in effetti però sarebbero pronti anche a un governo di scopo, di transizione, balneare che dir si voglia pur di evitare il voto tra due mesi. Un esecutivo magari guidato al ministro dell’economia Franco. Per il capo leghista è la manovra che starebbe tentando il capo dello Stato e alla quale i dem non hanno la forza e la voglia di dire di no. Un’operazione che dovrebbe staccare Forza Italia dalla Lega e portarla in una maggioranza che avrebbe dentro di sé il segno di una possibile alleanza elettorale da contrapporre al centrodestra sovranista Meloni-Salvini.

Qualcuno starà pensando che si tratti di menate mentali giornalistiche e invece di questo si parla seriamente nel centrodestra. Tanto che Salvini ha chiamato Silvio Berlusconi per dirgli che questo è il tentativo in atto. Da qui una nota congiunta che contiene un messaggio ai navigatori sopra e sotto il Colle: toglietevi dalla testa di poterci dividere. Tra i naviganti c’è anche Meloni: «Non abbiamo timore del giudizio degli italiani». Timore che la leader di Fratelli d’Italia ha insinuato. 

Dunque, per Salvini e Berlusconi nessun governo che non sia guidato da Draghi, nessun altro nome. Tranne un traghettare che accompagni gli sfortunati italiani al voto e consenta di svolgere la campagna elettorale sulle spiagge d’agosto. 

O Draghi o morte! Lo dicono quasi tutti. Certo, ma aspettiamo qualche giorno perché già abbiamo visto con quanta disinvoltura i protagonisti della politica italiana siano capaci di rimangiarsi le loro parole. Berlusconi è un maestro in questo: si è sfilato da accordi che sembravano ferrei, ha gettato nel cestino quintali di note congiunte. Lo stesso discorso si potrebbe fare per Salvini, per la verità, come è successo durante le trattative per l’elezione del capo dello Stato: il capo leghista trattava con Conte, mentre il Cavaliere concordava la rielezione di Mattarella con Letta e Renzi.

Questa volta non è detto che la storia si ripeta. È in gioco la sopravvivenza del centrodestra all’ultimo giro di giostra prima del voto. La porta delle elezioni sembra vuota, in questo momento sembra non ci sia nessuno a parare il rigore del centrodestra. «Vedremo – dice il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè – perché noi siamo bravissimi a tirare il pallone sopra la traversa».

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