Veramente Telemaco. Chi ricorda la citazione omerica fatta da Matteo Renzi addirittura otto anni fa sulla scorta di un libro che allora fece molto discutere di Massimo Recalcati ha già capito. Telemaco, il figlio di Ulisse, attende il padre, e con coraggio «ambisce all’eredità»: e stavolta Renzi è ancora Telemaco ma anche Ulisse, da solo nel mare alla ricerca di un’Itaca politica che segni un suo nuovo approdo, un’impresa e una sfida difficilissima. Come in tutti i gialli, fino all’ultima pagina la fine non è nota ma ieri la solitudine di Renzi – che in politica si chiama isolamento, più o meno splendido – si è toccata con mano.
Cosa è successo? Nulla di definitivo, ma il leader di Italia viva ha chiaro che il Partito democratico (non tanto e non solo Enrico Letta quanto il Partito, cioè quel mix di capicorrente di sinistra, umore della base, malmostosità personale, calcolo elettorale) ritiene che Italia viva farebbe perdere più voti di quanti ne potrebbe portare, considerandola insomma come un virus capace di infettare una coalizione che in verità rischia di assumere sempre più la fisionomia della vecchia gioiosa macchina da guerra molto di sinistra (non c’erano i post democristiani Mino Martinazzoli e Mario Segni), e si sa come finì: si schiantò contro Silvio Berlusconi, Gianfranco Fini e Umberto Bossi.
Il paradosso è che l’uomo del terzo polo, Carlo Calenda, è dato in forte avvicinamento alla coalizione guidata dal Pd e sebbene abbia ripreso, e molto amichevolmente, a parlare con l’amico-rivale Renzi, non appare in grado di farsi carico in qualche modo di Matteo, piuttosto inviso, sembra, a Emma Bonino, la leader di PiùEuropa alleata di Calenda.
Ecco dunque che toccherebbe proprio a Renzi il ruolo di punto di riferimento dei né Letta né Meloni, contro la destra sovranista ma anche distante dalla «ammucchiata indistinta» – così la si definisce dalle parti di Iv – che comprende tutto e il suo contrario e non ha nemmeno un candidato presidente del Consiglio, anzi ne ha due in competizione tra di loro, Letta e Calenda.
Uno spazio dunque c’è, nella quota proporzionale. Il punto decisivo è capire se ha ragione il Partito oppure no, perché se avesse torto, cioè se alla fine Renzi si rivelasse un valore aggiunto e non un peso, la coalizione lettiana perderebbe un bel po’ di collegi uninominali laddove il risultato è in bilico tra le due mega-coalizioni. Già si sentono le polemiche dopo un’eventuale sconfitta.
Ecco perché l’ostilità del Nazareno verso l’ex presidente del Consiglio rischia di essere uno di quegli autogol alla Comunardo Niccolai, il famoso difensore del Cagliari che segnava spesso nella sua porta. Lui, Matteo, sembra reagire con l’ennesimo coup de théâtre – vado da solo – con rabbia ma in un certo senso sollevato – in fondo il problema del che fare gliel’ha risolto il Pd – e speranzoso di lanciare un’opa fruttuosa su una domanda centrista-riformista che nel Paese, anche se minoritaria, certamente esiste.
Tutto questo dovrà essere confermato, e ci sono ancora diversi giorni per risolvere i problemi della coalizione. Ieri Enrico Letta non ha avuto problemi a ottenere un suggello unitario da parte della Direzione e dei gruppi parlamentari del Pd con una relazione molto motivazionale («vinceremo noi») nella quale ha avuto un via libera unanime ad andare avanti come front runner della campagna elettorale (non è il candidato premier, almeno questo).
I grandi capi lo sostengono ma si è colto nei discorsi di Andrea Orlando, Peppe Provenzano, Matteo Orfini una sorta di rinvio a fare i conti dopo il voto. Perché è chiaro che, dato a Letta quel che è di Letta, è stabilito che si va tutti alla pugna, se la coalizione imperniata sul Pd perderà le elezioni, il giorno dopo partirà uno dei Congressi più drammatici della storia di questo partito, anche nel caso in cui – è questo l’obiettivo del segretario per blindarsi – dovesse arrivare primo battendo Fratelli d’Italia.
Per il resto, tutto demandato alla tostissima trattativa interna per i posti buoni che il segretario intende gestire direttamente con i segretari regionali senza capicorrente tra i piedi. La lista Pd-dp (democratici e progressisti) sarà aperta a Roberto Speranza e non molti altri di Articolo Uno – un partito fallito – Demos di Mario Giro (vicina a Sant’Egidio) e i socialisti di Enzo Maraio e Riccardo Nencini.Nella coalizione, via libera a Nicola Fratoianni, considerato «innocuo» (inedita categoria della politica), aspettando Calenda, malgrado il veto thai di Goffredo Bettini. Tra il «nocivo» Renzi e l’innocuo Fratoianni dunque Enrico Letta sceglie il secondo, se sarà stato un errore la Storia non glielo perdonerà.