Ancora «dieci giorni» per sbloccare il grano di Kiev nei porti minati. L’incontro ad Ankara tra il presidente del Consiglio Mario Draghi e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si è concluso con la firma di nove accordi bilaterali. Ma il dossier più urgente è quello che riguarda lo sblocco del grano ucraino, su cui il leader turco lascia intendere che si potrebbe essere finalmente a un punto di svolta.
A mancare è sempre l’adesione di Mosca al piano studiato dalla Turchia con Onu e Ucraina. «Ma noi crediamo di poter mediare e nei prossimi giorni aumenteremo i contatti. Cercheremo di arrivare a un risultato anche in una settimana», dice Erdogan in conferenza stampa, ottenendo sul punto la pronta sponda di Mario Draghi. «Sarebbe un primo segnale importante di pace», spiega il premier, sottolineando come l’apertura avrebbe a tutti gli effetti un «valore strategico» per la risoluzione del conflitto. Washington ha spinto e benedetto il patto.
La genesi della svolta nei rapporti tra Roma e Ankara, come scrive Repubblica, sarebbe stato il viaggio di Draghi alla Casa Bianca, nel maggio scorso. Nello Studio Ovale il premier italiano riceve un’indicazione geopolitica chiara da Joe Biden: riannodare con Erdogan, stringere un patto mediterraneo con il principale partner Nato dell’estremo fronte Est dell’Alleanza.
Nelle ultime ore, Draghi si è mosso con Zelensky. E ha portato a Erdogan il messaggio di Kiev: servono garanzie chiare, ma noi ci siamo. Serve l’ultimo miglio. Erdogan annuncia che entro il fine settimana sentirà Putin e il presidente ucraino. Sarebbe una svolta, permetterebbe al raccolto di settembre di essere conservato senza marcire. Garantirebbe anche le esportazioni di olio di semi. Ci sarebbero cinque porti pronti ad aprire, come spiega il Messaggero.
Un primo passo per avvicinare una tregua nel conflitto. E per consolidare il rapporto bilaterale tra Italia e Turchia. Alla visita – non a caso – hanno preso parte, oltre a Draghi, anche i ministri Luigi Di Maio, Luciana Lamorgese, Lorenzo Guerini, Roberto Cingolani e Giancarlo Giorgetti.
Sembra passata un’eternità dall’aprile 2021, quando a seguito «dell’Incidente della sedia» che aveva visto protagonisti Erdogan, Charles Michel e Ursula von der Leyen, Draghi non aveva lesinato critiche al presidente turco definendolo un «dittatore» necessario.
Il primo test sarà l’intesa sul grano. Se funzionerà, poi, la collaborazione tra Roma e Ankara si allargherà a migranti, armi, Libia. L’idea di cui si ragiona dietro le quinte è una possibile collaborazione nella formazione delle forze armate libiche.
Sulle armi, il ministro della Difesa Guerini sigla con il suo omologo un protocollo che vincola i due Paesi alla segretezza sulle informazioni classificate nell’industria bellica. Un modo per garantire il copyright militare ed evitare che le tecnologie vengano copiate e utilizzate per produrre sistemi meno costosi, da rivendere ad altri compratori.
Lamorgese è pronta invece a siglare con i turchi un accordo per ridurre i flussi migratori illegali lungo la rotta del Mediterraneo orientale. Infine il gas. Pesa la spietata concorrenza sul fronte dell’estrazione di fronte alle coste di Cipro e la sfida geopolitica su quei giacimenti. Ma resta anche la possibilità di rafforzare il flusso del Tap e di sfruttare i buoni uffici turchi per garantirsi nuove rotte di gas liquido.
Così se in un brevissimo passaggio Erdogan annuncia un ruolo italiano per la costruzione del tratto sottomarino del gasdotto di Sakarya, nel mar Nero, Draghi invece spiega anche come i Paesi siano «uniti nella condanna dell’invasione russa e nel sostegno a Kiev». Oltre a ribadire, come il premier fa sempre, come siano anche in prima linea nel cercare «una soluzione negoziale» che fermi le ostilità e garantisca una pace stabile e duratura alle condizioni dell’Ucraina. In realtà, ad ascoltare bene lo scambio di battute, Draghi sembra aver ottenuto una qualche concessione diplomatica da Erdogan, che prima d’ora non aveva mai condannato così apertamente Mosca.
Un dossier caldo è quello dei migranti. «Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa Draghi», dice Erdogan rispondendo a una domanda dei media turchi sulla gestione dei flussi migratori verso l’Europa. «Noi siamo il Paese meno discriminante», risponde il premier. «Ma anche noi abbiamo limiti e ora ci siamo arrivati». Un allarme dovuto all’aumento di arrivi sulla rotta del Mediterraneo orientale più che triplicati nel 2021. Draghi ha sottolineato come la gestione debba essere «umana, equa, efficace».
«Noi», ha spiegato Draghi con riferimento all’Italia, «cerchiamo di salvare i migranti che si trovano nei nostri mari o quando altre navi li portano da noi. Il nostro comportamento da questo punto di vista è straordinario, siamo il Paese certamente più aperto». E così Erdogan, che da sempre accusa Atene per i respingimenti nell’Egeo, punta di nuovo il dito contro la Grecia che «ha cominciato a essere una minaccia anche per l’Italia».
Alla fine, il «dittatore» necessario Recep Tayyip Erdogan si trasforma in alleato obbligato. La guerra in Ucraina ha stravolto ogni equilibrio.