Azzardo o nostalgia?L’occasione persa dell’assemblea costituente cilena

Quasi due terzi dei cileni hanno bocciato la proposta di Costituzione redatta da 155 parlamentari perché la proposta era ancora più divisiva della Carta di Pinochet. Un autogol politico che dimostra l’inadeguatezza della presidenza Boric

Credits: LaPresse

Una netta maggioranza di cileni ha bocciato la proposta di Costituzione redatta dell’assemblea costituente. Il 62% dei votanti ha votato contro il testo redatto nell’ultimo anno dai 155 membri dell’assemblea. Rimane quindi in vigore il testo del 1980 approvato durante la dittatura militare di Pinochet.

All’apparenza il risultato fa del Cile un paese nostalgico della dittatura che preferisce la Costituzione di Pinochet a una eletta in democrazia. L’argomento principale di tale tesi sarebbe che la nuova Costituzione è stata bocciata da 7,5 milioni di elettori e approvata solamente da 4,5 milioni. Sarebbe però una conclusione abbastanza semplicistica e, probabilmente, di parte.

In un referendum tenutosi nel 2020, il 78% dei cileni si era espresso a favore della redazione di una nuova Costituzione. Segno che esiste una chiara volontà di superare il testo lasciato da Pinochet. Nel ballottaggio delle elezioni presidenziali del dicembre 2021, il candidato presidente Josè Antonio Kast, nostalgico della dittatura, prese il 44% contro il 56% del candidato di sinistra Gabriel Boric. Altro segno della volontà del paese di superare il regime militare.

Esiste ovviamente una parte significativa della popolazione che ricorda con nostalgia la dittatura. Ma è una parte minoritaria della popolazione. A riprova di ciò, nel primo turno delle presidenziali del 2021 Kast prese meno del 28% delle preferenze e solo nel ballottaggio riuscì ad arrivare a un modesto 44%.

L’esito del referendum del 2020 e delle elezioni del 2021 lascia pochi dubbi. La grande maggioranza dei cileni vuole superare definitivamente la dittatura e preferisce una Costituzione redatta democraticamente. I motivi della bocciatura del testo non vanno quindi ricercati nella presunta nostalgia per il regime ma nella qualità del testo proposto in alternativa.

Negli ultimi mesi si era creata una convergenza abbastanza ampia sui diritti basici quali educazione, salute e assistenza sociale. Erano questi i temi principali che avevano portato i cileni a chiedere una nuova Costituzione. Sebbene questi diritti fossero riconosciuti nel testo del 1980 si lasciava che fosse il mercato a regolarne l’accesso. La nuova Costituzione proponeva un maggior intervento dello stato. Era uno dei punti di maggiore convergenza. Si era creato un ampio consenso nel definire l’accesso all’acqua come un diritto. È un tema fondamentale per un paese che ricava l’acqua dai sempre più piccoli ghiacciai delle Ande. La stessa capitale convive con il rischio di dover avere razionata l’acqua.

I problemi sono nati quando l’assemblea costituente ha iniziato ad andare oltre l’ipotetico mandato delle proteste del 2019 in cui si chiedeva una maggiore uguaglianza di accesso a servizi basici. Sono tre temi potenzialmente divisivi che hanno eroso il consenso attorno al nuovo testo.

La nuova Costituzione avrebbe garantito espressamente il diritto all’aborto in un paese che solo dal 2017 consente di abortire in caso di malformazione del feto, stupro o pericolo di vita della madre. Il tema è molto divisivo. Secondo un recente sondaggio solo il 41% dei cileni sosteneva il diritto all’aborto libero e nella maggior parte dei paesi dell’America Latina l’aborto è ancora illegale. Probabilmente il miglior modo per riconoscere il diritto sarebbe stato attraverso l’intervento del Parlamento come avvenuto nella vicina Argentina meno di due anni fa. Si sarebbe sancito il diritto e ne avrebbe tratto vantaggio anche la Costituzione che sarebbe apparsa come meno divisiva.

Controversa anche la scelta di definire in Costituzione il Cile come una repubblica paritaria in cui le donne debbano occupare almeno il 50% dei posti lavorativi in tutti gli enti statali. Sarebbe stata la prima Costituzione al mondo a garantire un diritto del genere.

Ma soprattutto ha generato maggiore avversione il modo in cui è stato definito il rapporto con i popoli indigeni. La nuova Costituzione avrebbe identificato 11 popoli originari tra cui i Mapuche. Era uno dei punti più delicati della riforma perché da anni la violenza di una parte dei Mapuche infligge danni nella regione meridionale dell’Araucanía e qualche organizzazione indigena è stata dichiarata terrorista. Inoltre la violenza in quella regione ha obbligato il governo cileno a intervenire con l’esercito. La principale controversia era riconoscere dei presunti sistemi giuridici dei popoli indigeni senza specificare quali fossero gli organi della giustizia, gli ambiti di competenza e quali persone ne potessero essere soggette. Non è un caso che nella regione dell’Araucanía il testo sia stato bocciato dal 72% degli elettori.

L’assemblea costituente è quindi riuscita nell’impresa di presentare ai cileni un testo talmente divisivo da essere bocciato dallo stesso elettorato che, meno di due anni fa, si era espresso in larga parte a favore di una nuova costituzione. È stata persa un’occasione per sostituire una Costituzione redatta da una dittatura e che genera diseguaglianze sociali ed economiche. Un duro colpo soprattutto per la sinistra cilena che pretende adesso colpevolizzare i cileni stessi pur di non riconoscere i propri errori. L’assemblea avrebbe dovuto presentare un testo meno divisivo che correggesse le diseguaglianze e attorno al quale si generasse un ampio consenso. Ha invece presentato un testo ancora meno popolare della contestata Costituzione di Pinochet. Un suicidio politico che rischia di segnare negativamente anche la presidenza Boric e allontanare l’accesso a diritti basici quali istruzione, sanità e previdenza sociale.

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