A Parigi in ogni bordello c’è un’adolescente dalle lunghe trecce che si fa chiamare Claudine, e costa più di tutte. Il successo amoroso di Willy cresce a dismisura. Sempre gentiluomo, si vanta di aver dovuto aiutare apposta una garçonnière per far fronte alla domanda.
Willy è un mascalzone, e un maestro. Dopo dieci anni di sfruttamento ma anche di alto apprendistato, Colette chiede il divorzio. Una rivelazione le ha cambiato la vita. Polaire, l’attrice che aveva interpretato Claudine a teatro, in piena notte chiama d’urgenza lei e Willy perché il suo amante la sta picchiando. Corrono da lei. Colette resta sconvolta. Non dalla violenza dell’amante, ma dalla sua bellezza. È la prima volta che vede un giovane uomo nudo. Finora conosceva solo quell’armadio di Willy. Le si apre un mondo.
Colette si separa da Willy. Cominciano le cause legali. Mai sazio, la perseguiterà tutta la vita pretendendo ancora soldi.
Dopo dieci anni di dominazione dell’omone-padrone, Colette si mette con una donna. Mathilde de Morny, detta Missy. È brutta come Willy, e un po’ gli somiglia. È baronessa ma ha un fisico da carrettiere. E anche lei come Willy è più vecchia di Colette di soli dieci anni, ma paiono trenta. Più che l’amante di Colette sembra suo nonno. Ma la somiglianza con Willy si ferma qui. Missy è amorevole, generosa, invece di rapinare l’amante la sostiene, le regala un po’ di respiro nella dannazione che fu la vita di Colette: la mancanza di soldi.
Liberata dal suo pappone, Colette si sposa con Missy nel modo più serio: a teatro. Lei e Missy recitano insieme al Moulin Rouge “Sogno d’Egitto”, dove Colette è una bella mummia che esce dal sarcofago. Danzando si libera delle bende, e fra lei e l’egittologo pensoso, Missy, c’è un’ardente scena di passione. Si baciano sulla bocca. Il pubblico fischia, battute sconce, proteste, schiamazzi. Le cacciano dal Moulin Rouge. Colette diventa il primo scandalo di Parigi. E questo, è danaro.
Eccola attrice di music hall. Canta, balla, recita ciò che scrive e scrive ciò che vive, rappresenta se stessa, come un fiume che scorre. Altro che psicanalisi! Un lusso di vita armonioso con estasi e ferite, che la avvolge tutta. Per Colette, come per Casanova: la mia vita è il mio argomento, e il mio argomento è tutta la mia vita.
Ma il narcisismo di Colette non è di quelli che annoiano, non è un cerchio chiuso, è un narcisismo a spirale: comprende gli altri, come un anello di fumo sale verso l’alto. Questo raccontare di sé ci prende, ci riguarda. Ha una chiarezza spietata ma sa amare, Colette, come suo padre il capitano.
Willy il bandito, intanto, vende i diritti di Claudine senza dirle niente, e intasca il malloppo senza darle un centesimo. Colette passa oltre, non perde tempo a sputargli in faccia. Continua a sconvolgere Parigi, appare a teatro nuda, mostra il corpo flessuoso e pieno. Nella pièce “La Chair” tutti aspettano la scena in cui un amante le strappa l’abito, denudandola. Il suo seno è una leggenda.
Da quando sta con Missy tutti si chiedono: ma Colette è lesbica? Ma che domanda è? Lei non fa differenza. Si innamora sempre degli occhi, il resto viene dopo. Non avrebbe riserve manco con un marziano, se la rendesse viva.
Colette va a letto con chi le pare, ma non inganna Missy: le dice tutto. E l’altra, con saggezza di egittologo, sorride. Che danzi pure, Colette. È sempre la sua Colette. Finché Missy non sorride più: Colette s’è innamorata davvero. Di Henry de Jouvenel, grande fascino, grande casato, niente soldi. Henry è una cosa nuova per Colette: è giovane e bello.
Si sposano. Colette resta incinta a trentanove anni – allora era uno scandalo, come adesso a sessanta. Nasce Colette seconda. Ma scoppia la Prima guerra mondiale, Henry è richiamato. Colette per seguirlo sfida le bombe, perché crede che fra loro ci sia una vera alleanza. Si sbaglia: Henry già la tradisce. E qui Colette scrive il suo libro più bello, “Chéri”, sull’amore fra Léa, matura cortigiana d’alto bordo, e il bellissimo Chéri, adolescente. Lo recita a teatro.
“Chéri” è il capolavoro della crudeltà dell’amore. Stephen Frears ne ha tratto il film con Michelle Pfeiffer, fedele ma pallido rispetto al libro. Protagonista è il tempo. Léa è una cortigiana e Chéri il figlio di una sua collega. È il sogno erotico di tutta Parigi. Ha un’anima da marchetta. Maleducato, viziato, duro, ignorante, avaro, annoiato. L’amore con Léa dura cinque anni, senza che gli amanti mai se lo confessino, continuando a simulare la leggerezza. Finché Chéri sposa una ragazza ricca. È una tragedia per entrambi. Léa pensa: È buffo, Chéri, che tu, perdendo la tua vecchia amante ormai logora, e io, perdendo il mio giovane amico scandaloso, abbiamo perso ciò che di più onorevole possedevamo in questo mondo. Si lasciano, amandosi disperatamente. Passa il tempo. Léa accetta la sua vecchiaia, si taglia i capelli, ingrassa, dimentica.
Ma Chéri non si rassegna. Passa il tempo in una camera tappezzata dalle enormi foto di Léa quando era ancora Léa, con le toilette clamorose, i larghi cappelli, le sue belle mani. E paga un’antica compagna di Léa perché gli parli di lei giovane.
In un piacere miserabile e celeste vive segretamente con l’immagine dell’antica amante, cercando di fermare il tempo. Finché si spara al cuore. Non tanto per i sessant’anni di Léa ma per i suoi trenta, che non è capace di sopportare. Esiliato dall’adolescenza, al diventare adulto preferisce la morte.
E mentre tutti si scandalizzano per il libro, lo scandalo diventa vero: ecco, a quarantasette anni, un travolgente amore col figlio di suo marito, Bertrand, di diciassette. Colette vive nella realtà ciò che fa sulla scena. Solo che nella vita le va molto meglio.
Bertrand è bello come Chéri ma non calcolatore e antipatico come lui, animaletto cattivo che non sa ridere. Bertrand è tenero e spiritoso, al primo amore. Colette è la sua maestra di arte e di eros, lui un grande allievo. Come fra Léa e Chéri, la storia durerà cinque anni.
Qui finisce la parte vorticosa della vita di Colette. A cinquantatré anni incontra Maurice Goudeket che ne ha trentasei, e da ragazzo, leggendo un suo romanzo, aveva detto: «Se un giorno mi sposerò, sarà solo con lei!». È uno strano adorabile uomo, venditore di perle e furetti. Il suo scopo diventa farla felice, e compie un miracolo: riesce a risanare i suoi confusissimi affari. Con Maurice, Colette conosce l’amore come gioia costante. Ha trovato il compagno di giochi, di viaggi, di vita.
Si sposano. È il 1935. Pochi anni dopo scoppia la Seconda guerra mondiale. Occupazione nazista di Parigi. Maurice è ebreo. Viene arrestato.
Per liberarlo, nella disperazione Colette si compromette coi collaborazionisti. E riesce a far tornare Maurice. Ma sotto ricatto: sarà di nuovo arrestato, se lei non fila dritto. E Colette si piega a scrivere d’arte sui giornali filonazisti, mentre sua figlia si batte con passione nella Resistenza.
Eccola vecchia, immobilizzata, col marchio di essere stata una collabò, una collaborazionista. Nel suo letto-zattera riceve il mondo intero. Muore vivissima. Come nell’apologo zen dell’uomo che cade in un crepaccio, e mentre penzola nel vuoto aggrappato a un ramo, vede una fragola appena spuntata e pensa Com’è bella, Colette muore guardando gli uccelli che volano fuori dalla finestra e dice a Maurice: «Li vedi?».
da “Amores”, di Barbara Alberti, Harper Collins, 264 pagine, 9 euro