La grande bonacciaIl Pd prende tempo in attesa (forse) di Bonaccini

Il prossimo segretario del Partito democratico prometterà di cambiare tutto e invece lascerà al suo posto il gruppo dirigente che lo ha condotto al risultato peggiore della sua storia

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Calma ragazzi calma, il Pd è in piedi e teniamocelo stretto. Si alza un clima proud dopo solo qualche giorno di shock e il Nazareno, cioè il gruppo dirigente del partito, confortati da alcuni suoi highlander come Luciano Violante e l’inossidabile Luigi Zanda e diversi opinionisti a partire da Paolo Mieli, reagisce al bombardamento del quartier generale: congresso sì ma tranquilli, nessuno scioglimento. 

La Direzione di domani (interamente in streaming dato che uscirebbe lo stesso tutto) farà bene o male partire l’iter congressuale (vedremo i tempi ma la conclusione non pare prima di marzo): sembra chissà che ma il quartier generale promette di reggere dando il via all’ennesima Grande bonaccia delle Antille. E mai parola – bonaccia- fu mai tanto evocatrice del possibile nuovo segretario, Stefano Bonaccini.

Qualcuno ricorda il lontanissimo articolo (1956) di Italo Calvino? Era una parabola marinara all’epoca dei pirati: una nave corsara – il Partito Comunista italiano – rimane ferma per mesi in mezzo al mare a causa di un’improvvisa bonaccia ma il capitano (Palmiro Togliatti) non fa nulla per uscirne invitando la ciurma a passare il tempo studiando «il regolamento del maneggio delle vele e il manuale del perfetto timoniere, e le istruzioni per l’uso delle colubrine». Ed è probabile che la parabola s’inveri anche adesso. 

Il Partito democratico, convocato il congresso così che non si possa accusare i dirigenti di voler chiudere gli occhi di fronte alla realtà, procederà d’inerzia a difesa della propria integrità fino a un nuovo segretario – con ogni probabilità Stefano Bonaccini, anche perché la sinistra dem non avendo finora un nome forte la vuole tirare in lungo – che dice di voler innovare tutto ma potrebbe essere costretto dai maggiorenti a governare il Pd nel segno del solito rinnovamento nella continuità. 

Non si tratterebbe solo di un nuovo capitolo di professionismo politico ma anche del probabile esito di una stasi che è nei fatti. Non c’è, almeno per ora, un vento gagliardo che spiri nelle vele di un nuovo inizio: al di là di pur significativi endorsement di qualche intellettuale, Elly Schlein, la figura che dovrebbe incarnare una spinta eversiva, è duramente osteggiata dal gruppo dirigente allargato del partito, percepita come una intrusa più o meno come lo fu ai tempi Matteo Renzi (che però aveva ben altra benzina). 

E oltre alle perplessità emergono veri e propri conservatori: se Zanda non stupisce, è strano che un uomo come Violante sia perplesso persino sul congresso perché ci sono emergenze come la guerra, le bollette, l’inflazione e via dicendo: dato che è esattamente per via di questi problemi che il Pd deve darsi una regolata. 

Il tesoriere Walter Verini ha messo le mani in uno dei problemi più acuti chiedendo di «sciogliere le correnti», una cosa che si dice da anni ma non è mai realizzata davvero, anzi, le correnti si sono moltiplicate come centri autonomi di dispense di potere e sottopotere, e tuttavia sarebbe un primo passo. Ma il punto vero riguarda la proposta politica. Non è un mistero che la sinistra di Andrea Orlando, Beppe Provenzano e Francesco Boccia puntino all’intesa sempre più stretta con Giuseppe Conte nel nome della rappresentazione del disagio sociale mentre non è chiaro cosa pensino Enrico Letta, Dario Franceschini, Andrea Guerini. 

Dietro il dibattito sulla linea c’è il problema di sempre: che fine farà il gruppo dirigente che condotto il partito al risultato peggiore della sua storia? Una domanda che fa venire i brividi a molta gente. Meglio la bonaccia, malgrado tutto.

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