Cos’hanno in comune il Municipio 1 di Milano, quello del centro città, delle boutique, del fashion district, degli immobili a 10mila euro al mq, e il quartiere napoletano di Scampia, luogo tristemente sinonimo di degrado, criminalità e povertà? Poco. E oggi, a guardare i risultati elettorali del 25 settembre, ancora meno. L’andamento del consenso ai partiti in queste due aree così peculiari del Paese rappresenta molto bene il momento attuale non solo da un punto di vista meramente elettorale e politico, ma anche sociale.
Una percentuale tra tutte: 64,9%. È quella che ha preso il Movimento 5 Stelle a Scampia. Dove abbiamo visto numeri simili alle elezioni? O nei risultati di qualche piccolo comune in cui il sindaco sia candidato o in quelli ottenuti dalla Sudtiroler Volkspartei nei paesi dell’Alto Adige.
È il dato di un partito etnico, che rappresenta una minoranza concentrata. Ma che minoranza vive a Scampia? Quella degli emarginati, dei senza lavoro, spesso dei senza speranza.
Un’Italia sempre più frammentata e divisa vuol dire anche questo, la nascita di forze politiche rappresentative di un solo ceto. Dopo i partiti e i movimenti “single issue” che si occupano solo di una regione, di cui magari vogliono l’autonomia, degli animali, dell’ambiente, di un singolo segmento della popolazione (per es. i pensionati), ora è il momento in Italia di quelli che rappresentano solo una fascia di reddito.
E il Movimento 5 Stelle sembra riuscirci anche meglio di quanto facesse il PCI dell’epoca. Ce lo dicono i dati. Non vi era mai stato un così grande divario tra l’esito delle elezioni in questi due quartieri di Napoli e Milano, e quello nazionale.
Perché parallelamente anche nel centro del capoluogo lombardo i risultati del voto sono stati più distanti che mai da quelli italiani. Se il primo partito a Scampia è il Movimento 5 Stelle, con il suo 64,9%, nel Municipio Milano 1 è Azione/Italia Viva, con il 30,3%. In entrambi i casi si tratta di percentuali poco sopra o poco sotto il quadruplo del dato nazionale dei due partiti. Allo stesso tempo la formazione di Carlo Calenda e Matteo Renzi non va oltre l’1,7% nel popolare quartiere napoletano e quella di Giuseppe Conte arriva a un misero 3,3% tra Porta Ticinese e Porta Venezia.
Il dato è rilevante non solo per il grande divario tra questi numeri, ma perché in realtà sia il Movimento 5 Stelle che Azione/Italia Viva non sono né il primo né il secondo partito nazionale. Fratelli d’Italia e Partito democratico, infatti, non riescono a prevalere in luoghi in cui a vincere sono invece quelle forze più connotate in senso economico-sociale, quella che meglio rappresenta gli indigenti e quella preferita dal ceto più elevato, da chi, appunto, abita nelle ormai celebri aree Ztl.
Non era così in precedenza. Durante la Seconda Repubblica in fondo a Scampia e nel centro di Milano non si votava in modo così diverso. Se aggreghiamo i risultati di Ds e Margherita, che si sarebbero poi uniti nell’Ulivo e nel Pd, si osserva come questo nel 2001 fosse di poco il primo partito alla periferia di Napoli e il secondo nel Municipio 1 del capoluogo meneghino, appena dietro Forza Italia, che a sua volta è appena dietro Ds e Margherita nell’altra area.
Nel 2006 il dato si inverte. Il futuro Pd prevale al centro di Milano con il 34,1% contro il 26,9%, mentre a Scampia vince il partito di Berlusconi, con il 32,9%, contro il 24,2% delle due principali liste del Centrosinistra. A livello di risultati e di distacco non vi sono grandi differenze rispetto a quello che accade in molte città italiane.
Nel 2008, poi, in entrambi i quartieri si impone il Pdl, con più del 40%, a fronte del 37,4% nazionale, e dietro, come in gran parte d’Italia, vi è il neonato Pd, con una percentuale molto simile, poco più di un terzo dei voti, e analoga a quella media.
Le cose cominciano a cambiare dalle elezioni politiche del 2013, che forse simbolicamente chiudono un ciclo, quello della breve Seconda Repubblica. È un voto che viene dopo la crisi finanziaria e dell’euro, che lascia cicatrici pesanti. Che si vedono.
Ora a rubare spazio ai due soliti contendenti, Pd e Pdl, che hanno risultati non troppo distanti nei due quartieri, vi sono gli esordienti Movimento 5 Stelle e Scelta Civica. Il primo prende il 25,3% ed è in testa a Scampia, ma ha solo il 10,9% a Milano centro, il 14,4% in meno. Qui, invece, i montiani conquistano ben il 24,4%, contro il 4,2% ottenuto nella periferia napoletana, il 20,2% in più.
Se escludiamo la Lega nordista, mai nessun partito aveva visto divari così ampi tra i risultati conseguiti in queste due aree. Sono i primi segnali del trasferimento della profonda divaricazione sociale dalle statistiche sul reddito o sull’istruzione alle urne.
Il 25,3% del M5S a Scampia è però, in fondo, in linea con la media nazionale. È nel 2018 che raggiunge le cifre da Svp attuali, superando il 65%, e solo quest’anno si associa a questo dato: quello del suo simmetrico, potremmo dire, Azione/Italia Viva, che trionfa a Milano centro, dove in alcune sezioni (corso Magenta, per esempio) supera anche il 40%.
La differenza tra i numeri raggiunti in questi due quartieri arriva a cifre record, il 61,7% nel caso del Movimento 5 Stelle, il 28,7% in quello del Terzo Popolo, ma supera il 10% anche per il Pd e Fratelli d’Italia.
E mai i vincitori del voto, ovvero i primi due partiti, avevano avuto, in questi due quartieri, risultati così lontani dalla media nazionale. Quasi 50 punti nel caso del M5S a Scampia, del 22,6% in quello di Azione/Italia Viva nel municipio 1 di Milano.
Cosa vuol dire? Che il sempre maggiore divario tra Nord e Sud del Paese si interseca con quello tra i ceti sociali. Ma soprattutto che i grandi partiti tradizionali, quelli che rappresentano in Occidente la sinistra e i conservatori, non sanno parlare alle classi più povere.
PCI e DC avevano le loro aree di maggiore penetrazione. A Scampia il primo andava meglio della seconda, che invece prevaleva nel centro borghese di Milano. Lo stesso può dirsi di Forza Italia/Pdl e Ulivo/Pd. Tutti questi partiti, però, erano trasversali, riuscivano ad avere una classe dirigente locale che poteva interloquire sia con il sottoproletariato meridionale che con la grande borghesia milanese. Oggi non è più così.
Da questa evidenza sorge una grande responsabilità, in capo soprattutto a questi nuovi partiti così connotati socialmente. È compito loro diventare più ecumenici, per così dire.
Se il Terzo Polo sembra essere consapevole della necessità di uscire dalle Ztl, cosa che del resto in parte ha fatto il 25 settembre, il Movimento 5 Stelle sembra crogiolarsi nella comoda posizione di avvocato dei più poveri, sfogo degli esclusi, a dispetto dei 5 anni ininterrotti nella stanza dei bottoni e nei panni da vestale dell’assistenzialismo.
È una collocazione apparentemente redditizia, ma fragile. Senza un radicamento omogeneo e più profondo, è più facile essere spazzati via dal prossimo movimento che si ergerà contro il sistema in un mondo sempre più fluido.