À la guerre comme à la guerreIl Comitato del Nord dei bossiani che spacca la Lega (e agita Salvini)

Mentre al Consiglio federale il segretario leghista smista incarichi ministeriali tutti da confermare, la vecchia guardia fedele al Senatur si riunisce al Pirellone per rilanciare la questione autonomista

LaPresse

A vederli ieri, al Pirellone, i diversi consiglieri regionali riuniti intorno a Paolo Grimoldi – la figura storica della Lega lombarda a cui il Senatur ha affidato il difficile compito di ricreare il sindacato del territorio con la formazione del Comitato Nord all’interno della Lega Salvini premier – sembrava di essere tornati indietro di quasi 10 anni. Al 2012 quando si era creata un’altra fronda, quella dei barbari sognanti di Bobo Maroni che sfidò la leadership di Umberto Bossi (e del suo cerchio magico). 

Facce serie ma espressioni determinate per difendere ciò che resta della Lega dopo la batosta elettorale e l’ultimo sondaggio Swg condotto per La7 una settimana dopo il voto che fa scendere i consensi del partito di Salvini all’8,3 per cento. Erano tutti lì a decidere cosa fare, come organizzare quella che viene definita forse erroneamente la prima corrente del partito leghista. Coadiuvato da un altro acerrimo avversario del leader della Lega, l’europarlamentare Angelo Ciocca, Grimoldi spiega a Linkiesta che «l’iniziativa di Umberto Bossi è nata per evitare che il movimento, già sfilacciato, si frantumi». 

Nel capannello c’erano i più agguerriti che non hanno avuto timore a esporsi contro la gestione di Salvini. Fra gli altri, il presidente della commissione Attività Produttive, Gianmarco Senna, apprezzato in modo trasversale anche dai suoi avversari politici per il suo piglio pragmatico e poco ideologico. «Non si può più fare finta di niente», spiega. 

Da sempre amico di Salvini, o meglio del Salvini precedente a quello di oggi, arroccato sulle sue posizioni e affatto disposto a confrontarsi con chi gli chiede da tempo di cambiare rotta, afferma: «In un momento molto critico per l’economia, abbiamo perso il consenso degli imprenditori» (e non solo della Confindustria che ha bocciato la flat tax). 

Del resto lui lo aveva già detto il 26 settembre a urne chiuse con un post verde padano e il simbolo della Lega nord su Facebook intitolato Chi siamo? In cui ha scritto: «Il voto appena concluso appare indiscutibilmente come un chiaro momento di rottura del legame “sacro” tra la Lega e la propria gente, le donne gli uomini che ogni giorno ci affidano la gestione degli interessi generali e della cosa pubblica, del proprio futuro. In questi ultimi anni, sono mancate innanzitutto le occasioni per confrontarsi: da tempo, i congressi regionali sono stati aboliti, i segretari sostituiti da commissari, i momenti di confronto interni sono stati soppiantati da un vociare incrociato di pettegolezzi, invidie, parole riportate, spesso volutamente male, e conflitti tra personalismi privi di progettualità. Il legame “sacro” tra un popolo e il proprio leader è stato indebolito, fino quasi a reciderlo, da un indistinto marasma di personalismi e guardiani di piccoli orticelli, che hanno demotivato o allontanato le risorse migliori e dato spazio ad egoismi che nulla hanno a che fare con lo spirito che ha sempre fatto della Lega la mia casa e la mia “famiglia”, il luogo del dove è nata e cresciuta la mia passione politica e dove sviluppare idee e progetti per il futuro della mia Regione e del mio Paese». 

Parole che pesano come pietre. Roberto Mura, presidente della commissione speciale “Rapporti tra Lombardia, Istituzioni europee, Confederazione Svizzera e Province autonome” in Regione Lombardia racconta di tutti quelli come lui sottoposti a un provvedimento disciplinare a Pavia e cita Confucio: «Quando fai qualcosa, sappi che avrai contro quelli che volevano fare la stessa cosa, quelli che volevano fare il contrario e la stragrande maggioranza di quelli che non volevano fare niente». 

Nel gruppo deciso a entrare nel comitato Nord ci sono una dozzina di consiglieri regionali che dicono «Non ci possono espellere tutti». Intorno a Grimoldi si stanno aggregando anche quelli che non sono stati  ricandidati come Tony Iwobi, il primo parlamentare di origini africane  arrivato su uno scranno del Senato o il vercellese Paolo Tiramani. 

La formazione del Comitato per il Nord non ha innescato per ora alcuna reazione da parte di Salvini si intreccia alla partita per le elezioni regionali in Lombardia. Un altro storico dirigente del varesotto osserva: «Ci sono troppe crepe, siamo tornati allo stesso punto di 10 anni fa: à la guerre comme à la guerre». 

E infatti in molti temono che  le pressioni al Nord – una sorta di manovra a tenaglia contro il leader della Lega con Gianni Fava che ha lanciato l’iniziativa di sabato 15 ottobre  a Biassono, in Brianza  “Per il Nord! Riparte la battaglia”- possano innescare un’implosione che porti la Lega a perdere le elezioni regionali. 

Tutti i sostenitori del Comitato per il Nord voluto da Bossi ne sono consapevoli ma dicono all’unisono. «Non si può stare fermi ad assistere alla dissoluzione del partito». 

E fra i tanti scenari ipotizzati circola persino quello secondo cui Salvini potrebbe sacrificare il governatore Attilio Fontana per ottenere una sinecura al Governo e cedere sulla candidatura di Letizia Moratti alla Regione Lombardia. Ma il fattore à la guerre comme à la guerre va anche analizzato nel contesto della partita politica lombarda dove non si lotta solo per rilanciare le istanze autonomiste ma anche per sopravvivere sugli scranni del prossimo consiglio regionale in Lombardia. 

E infatti tutti i nordisti dicono compatti «Il nostro candidato è Fontana». L’altra frattura profonda interna alla Lega che si sta consumando in Veneto è un altro enigma che non si scioglie perché il governatore Luca Zaia, che non ha risparmiato critiche aspre a Salvini, nella pratica per ora è rimasto ad «armiamoci e partite» anche se l’europarlamentare Toni Da Re dice: «La guerra è esplosa. Si deve fare il congresso federale». 

Morale: il rischio cupio dissolvi della Lega si è trasformato ancora una volta in un’estenuante battaglia del tutti contro tutti. Matteo Salvini sembra ignorare il dissenso e tira dritto, guardando alla composizione del Governo.  

Al consiglio federale a Roma ieri è stata fatta la lista della spesa con la richiesta di diversi ministeri: Interno, Infrastrutture, Giustizia, Agricoltura, Affari regionali. Con Giancarlo Giorgetti che ha detto: «Salvini candidato naturale al Viminale», facendo infuriare tutti i suoi uomini sul territorio lombardo intrappolati nell’offensiva à la guerre comme à la guerre

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