In Ucraina il Natale si festeggia due volte. O, meglio, in due date diverse. Gli ucraini di rito ortodosso (l’ottanta per cento della popolazione) lo celebrano il 7 gennaio, all’inizio dell’anno nuovo, come prevede il calendario giuliano. Quelli cattolici (il nove per cento), invece, il 25 dicembre, come nei Paesi europei, seguendo il calendario gregoriano che a inizio Novecento, tra il collasso dell’impero zarista e gli effimeri tentativi d’indipendenza, prova invano a imporsi, ma la Chiesa ortodossa è inamovibile.
L’Urss dichiara illegale la religione. I culti sono «oppio dei popoli», le festività cancellate. Di più, vietate. Sotto la dominazione di Mosca, il calendario è unificato nel suo appiattimento. Sopravvive nella memoria. «Nonostante la battaglia che lo Stato sovietico ha infervorato contro il Natale – racconta la nostra Yaryna Grusha Possamai, che cura Slava Evropi –, sostituendo il nome di Gesù Cristo con il nome di Lenin nei canti natalizi, la stella di Betlemme con la stella rossa sovietica e Babbo Natale, San Nicola per gli ucraini, con Nonno Gelo, un personaggio fittizio, le famiglie ucraine hanno conservato la tradizione di festeggiare il Natale».
La Vigilia di Natale cade il 6 gennaio. Potremmo ricordarlo, la prossima Epifania. In fondo il calendario ucraino festeggia due giorni, il Parlamento europeo ha due sedi, può averle anche il nostro cuore. A Kyjiv, Kherson, Kharkiv, Leopoli, tutte le altre città di cui abbiamo appreso il nome e la grafia in ritardo, quando ce lo hanno ripetuto i telegiornali, ci si siede a tavola, si parla, ci si scambia regali e si aspettano i canti natalizi.
«Il piatto principale è la kutja, il misto dei cereali con l’uvetta passa, i canditi, condita con del miele e i semi di papavero. Prima di iniziare a cenare, si mangia un cucchiaio di kutja, il secondo cucchiaio si mette sul piatto per i morti, che quella sera sono presenti insieme agli altri famigliari intorno alla tavola», continua Grusha Possamai. Non può mancare l’uzvar, una bevanda a base di frutta essiccata.
Andranno preparate con soluzioni creative, quando mancano il gas e la corrente. La minaccia del buio e del gelo, nei rifugi e non nella casa addobbata, perché i missili russi continuano a martoriare i quartieri residenziali e la rete elettrica. Negli ultimi anni, gli ucraini hanno rispolverato le vecchie tradizioni. Indossano i costumi nazionali, mettono in tavola dodici piatti, dodici come gli apostoli. Quest’anno non sarà come gli altri.
A Kyjiv hanno allestito l’albero, brilla del giallo e del blu della bandiera. È così diverso da quello del passato. Non è costellato da altre luci. Nelle case, nelle vetrine negozi. Niente luminarie. Risalta ancora di più, tra la neve della piazza. Come risalta la responsabilità russa d’aver scatenato una nuova guerra in un continente in pace ma non pacificato. Vladimir Putin ricatta l’Europa a cui Kyjiv appartiene, ora e per sempre, perché gli ucraini combattono anche per noi.
«Quest’anno il Natale, che rappresenta la speranza, viene atteso più che mai, anche se il calendario dell’avvento è scandito dai bombardamenti russi», conclude Grusha Possamai. La chiesa ortodossa ha consentito di festeggiare anche il 25, per chi non se la sente di condividere quel giorno così speciale con l’invasore russo. Sfollati nei Paesi europei o in patria, gli ucraini avvertono una ricorrenza che per loro, per noi, significa anche resistenza e resilienza.
Lo fanno per i figli, per le famiglie che li hanno persi al fronte. Ai bimbi i doni li porta San Nicola, nella notte tra il 18 e il 19 dicembre. Il santo svolge la missione che in Lombardia e in Sicilia è di Santa Lucia, altrove di Gesù Bambino, o della Befana; di Babbo Natale nella pop culture. I regali solo ai «bambini buoni», sarebbe la ragione sociale, ma sono tutti buoni ed eroi i bimbi d’Ucraina. Secondo l’Unicef, quasi sette milioni di loro non hanno accesso costante a elettricità, riscaldamento e acqua in questo periodo di freddo estremo.
Le loro lettere a San Nicola sono commoventi. Potete leggerne alcune qui. «Quest’anno avrei voluto chiederti di portarmi una bicicletta, ma non sono più a casa mia, quindi probabilmente non mi troverai. Per questo chiedo i superpoteri per le forze armate ucraine», scrive Ihor. Nikita, al primo posto, spera finisca la guerra. Solo dopo si ricorda di una barretta di cioccolato e lascia un post scriptum: «San Nicola stai attento, la difesa aerea sta funzionando».
Oksana pensa ai liberatori: «Per favore, porta ai soldati armi, vestiti e cibo, così stanno al caldo e hanno qualcosa da mangiare». Anton: «Mio padre voleva comprarmi un nuovo telefono, ma è morto. Quindi ti chiedo di portarmi un nuovo telefono se puoi». Anche Veronika ha perso il papà, il primo settembre. Vorrebbe una lampada da notte, se il Santo potesse, ma in subordine alla sola cosa che conta.
«Voglio chiederti la cosa più importante», scrive la piccola, «che tutti i soldati ucraini vivano a lungo e vincano questa guerra». Caro San Nicola, te lo chiediamo anche noi.
Questo articolo è tratto dalla newsletter di “Linkiesta europea”, ci si iscrive qui