Dopo anni di isolamento, i cinesi possono finalmente rispolverare i loro passaporti per viaggiare all’estero. La Cina ha riaperto i suoi confini turistici lo scorso 8 gennaio: mossa subito salutata con sollievo dall’industria del lusso globale. Seconda al mondo dopo quella degli Stati Uniti, l’economia cinese sarebbe dovuta diventare leader assoluta nel mercato del lusso entro la fine del 2023. Ma con gli attuali tassi di infezione da Covid, certamente più alti di quanto mostrano i dati ufficiali, la previsione potrebbe non avverarsi.
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ritiene che la Cina stia sotto rappresentando tanto le cifre del contagio che le morti segnalate. Il paese è dunque destinato ad affrontare una situazione difficile nel primo trimestre del 2023: il picco Covid-19 in atto non potrà che impattare negativamente sia sugli approvvigionamenti che sulle vendite. La situazione è destinata a migliorare dalla fine del secondo trimestre? Sia l’economia locale che i mercati internazionali fanno affidamento sulla spesa dei consumatori cinesi e sugli impianti di produzione dislocati nel paese.
I dirigenti del lusso di tutto il mondo avevano sperato che il presidente Xi Jinping usasse il palco del Congresso nazionale del Partito comunista di ottobre per annunciare un allentamento della politica zero-Covid. Al contrario in quel frangente è stato ribadito l’impegno a reprimere, piuttosto che a superare l’emergenza.
Di conseguenza nell’ultimo trimestre del 2022 tutti gruppi finanziari che stanno alle spalle dei marchi di moda hanno ridotto le prospettive di crescita su quel mercato. Farfetch, la piattaforma britannico-portoghese attiva nel settore delle vendite online con oltre settecento boutique e marchi di tutto il mondo, ha registrato forti perdite su quel mercato e a dicembre dello scorso anno una evidente discesa del suo titolo borsistico. Numeri deludenti anche per grandi conglomerati europei come Kering e Ritchmond, mentre LVMH, Ferragamo e Prada, sebbene di dimensioni diverse tra loro, sono riusciti a compensare il problema con forti rialzi nelle vendite in Europa e negli Stati Uniti. Si sono rivelati deboli sul versante statunitense anche Capri Holdings (Versace, Michael Kors e Jimmy Choo) ed Estée Lauder (leader nel settore della cosmesi).
A sorpresa però lo scorso novembre (fatto imprevedibile anche per i più smaliziati tra gli analisti finanziari), nei principali centri urbani cinesi sono esplose proteste di piazza contro la politica di contenimento adottata dalle autorità. Così il 7 dicembre le restrizioni sono state allentate a Guangzhou e a Zhengzhou. Quando il 27 dicembre le autorità hanno annunciato la decisione di riaprire i confini per i viaggi internazionali le azioni di LVMH e quelle di Richemont sono immediatamente rimbalzate verso l’alto del 2,7 per cento e di quasi il 4 per cento. I più ottimisti tra gli analisti ritengono ci sia almeno il 50 per cento di probabilità che si materializzi nel secondo semestre del 2023 uno scenario favorevole per cui la domanda di lusso cinese rimbalzerebbe tra il 25 per cento e il 35 per cento.
Ma il mercato del lusso non deve prestare attenzione solo al maleficio del virus. Un’altra incognita è dovuta al cambiamento in atto dei comportamenti di acquisto. Dopo aver giocato per decenni il ruolo spesso invisibile del supplier, il tessile-abbigliamento cinese si è attrezzato.
La Shanghai fashion week ha mostrato tutta la sua possanza nel marzo 2020 si è presentandosi in versione totalmente digitale. Ancora lo scorso giugno ha portato i suoi 36 show su Douyn la versione cinese più evoluta di TikTok. Si valutano in due milioni gli utenti di Douyin che hanno seguito gli show di giugno in live streaming, mentre l’hashtag #electronicshanghaistyleweek, ha registrato 66 milioni di perception al momento della sua chiusura. Shuting Qiu, Shushu/Tong, Feng Chen Wang e Personal plan sono stati i marchi più seguiti.
Proprio a marchi come questi – da noi ancora sconosciuti – guarda con sempre maggiore interesse il 76 per cento della GenZ cinese (oltre 200 milioni di individui) più ricca e più informata delle precedenti: nel caso del fashion sembra trattarsi di un nascente spirito patriottico.
L’emersione di marchi locali, il rimpatrio della spesa per il lusso attraverso l’e-commerce e l’aumento delle destinazioni di viaggio nazionali come l’isola di Hainan sono fenomeni destinati a radicare e avranno un impatto considerevole nello spazio della vendita al dettaglio. È più che probabile ad esempio che almeno in una prima fase i viaggiatori cinesi si orientino per destinazioni interne o relativamente vicine, situate nell’Asia orientale o nel sud-est asiatico. Le prenotazioni di voli dalla Cina sono aumentate del 254 per cento il giorno stesso dell’annuncio della riapertura dei confini: ma le prime cinque destinazioni sono state Singapore, Corea del Sud, Hong Kong, Giappone e Thailandia.
Le boutique in Europa e Nord America sono dunque destinate a competere con le loro controparti asiatiche. Lo sanno benissimo i più avvertiti tra i brand del lusso che di spazi in oriente ne hanno aperti a ripetizione negli ultimi anni. Prada non solo possiede oltre cento store in Cina (300 in Europa) ma ha addirittura strutturato a Shanghai un hub culturale in cui produce eventi d’arte di ottima qualità, come accade a Milano o Venezia.
Per i marchi di lusso occidentali l’opportunità di catturare la spesa cinese è legata alla capacità di comprendere la disposizione per gli acquisti ovunque essi avvengano. Ancora più intenso risulterà lo sforzo per acquisire una profonda comprensione delle dinamiche del comportamento di acquisto. Marketing certo, ma fortunatamente anche una reciproca e necessaria comprensione delle differenze attitudinali e culturali che ancora ci separano.