Il mio nome è Jack Piper. Per la verità Jack Piper è il mio pseudonimo. Sono un giornalista, in viaggio da molti anni a caccia di storie. Alcune, 6 per la precisione, le racconto qui. Le ho scritte in cucina. La cucina si chiama “Sei”, è italiana, costruita da Euromobil, progettata da Marc Sadler. È, per me, il vero luogo del nutrimento. Un perfetto nido dell’ispirazione. Conosco Marc da molti anni. Soprattutto, Marc conosce bene me. E’ stato lui a disegnare la mia “Sei”, certo di farmi felice.
Quando me la sono trovata davanti è stato amore a prima vista. Colori e forme. Dettagli preziosi. Funzionalità e grazia. L’ho subito chiamato. Per ringraziarlo. Per saperne di più su una cucina che appare subito diversa dalle altre. Infatti: “Caro Jack – ha detto- ho potuto lavorare in libertà, come fai tu, partendo dal foglio bianco. Non accade sempre così. Per me “Sei” è una bella donna che mischia senza problemi una scarpa da tennis e un vestito firmato; un piumino di marca e una Birkin di Hermes con l’ultimo telefono hi-tech. Però porta con piacere un vecchio orologio”.
Il ritratto mi è sembrato interessante, moderno. Aderente ad una cultura che ci appartiene: “Siamo un po’ così, no? Persone che scelgono per amore o per interesse elementi diversi in momenti diversi, indipendentemente dal loro valore. Nel disegnare “Sei” ho voluto provocare: una cucina molto bella, un oggetto di lusso, con la presenza di macchie di colore che di solito non compaiono”.
Ho subito pensato alle guide dei cassetti, dei cassettoni, dipinte in arancione: “Esattamente. Cercavo una piccola magia. Qualcosa che costringe chi usa la cucina a guardare quel particolare che di solito non si nota nemmeno. E’ un esempio che indica un criterio. Una cucina fatta di elementi preziosi, ciascuno per il proprio verso, apprezzata proprio per questo. Se penso a come ho potuto progettare i volumi, le proporzioni ma anche le sproporzioni, penso al privilegio tipico di uno stilista che schizza un abito molto economico ma che quello stesso abito può elaborare trasformandolo in un prodotto lussuoso. Dunque, sto parlando di una cucina che possiede una identità propria, particolare, non confondibile. Può essere caratterizzata da un quarzo particolare e scelto alla cava, da macchie di colori non convenzionali, da una quantità di soluzioni rese possibili dall’industria, dalla tecnologia. “Sei” è un prodotto industriale che nasce come prodotto sartoriale”.
Marc Sadler, non a caso, dipinge. Alimenta la propria fantasia per poi spostarsi sulla progettazione, su una serie di quesiti da risolvere in modo originale. Il metodo lo conosco, lo riconosco, somiglia al mio. Entrambi, attorno a “Sei”, abbiamo cercato di volare, di viaggiare, di raccontare, facendo i conti con le concretezze dei casi. Il suo e il mio. Volumi, materiali e ingombri come parole, frasi e punteggiature. Un privilegio ma anche un esercizio stimolante. Questi sono racconti “dalla cucina” perché questa cucina è il frutto di un racconto.
Racconto numero 1 – Una doppia ossessione
Sarde in saor. Il piatto è veneziano. Sarde fritte, cipolle appassite con olio e aceto; uva passa, pinoli. Vanno lasciate in pace almeno un giorno, prima di mangiarle. Le preparo raramente. Adesso per esempio, gli ingredienti messi in linea sul piano in pietra naturale della mia “Sei”, Ocean storm, il nome corretto. Oceano. Acqua. Abbastanza per portarmi a spasso nelle calli, per tornare là, a Venezia, dove i miei percorsi sono ancora affannati e inquieti a causa di una donna che forse non esiste. Anche se l’ho incontrata, rincorsa e perduta non so più se nella realtà o in una sconcertante fantasia.
L’anno, intanto: 1998. Due secoli esatti dalla morte di Giacomo Casanova che fu un po’ scrittore, un po’ alchimista, un po’ diplomatico, un po’ scienziato, un po’ agente segreto. Libertino, piuttosto. Avventuriero, di sicuro. Il direttore: “Jack, vai là, ripercorri, trova il fantasma di quel demonio e poi scrivi. Senza perderti, per cortesia”. Una premonizione? Forse. Insomma, Venezia. Un notes gonfio di appunti, tracce, indirizzi, aneddoti, dicerie, bugie certe. Avevo studiato, letto una quantità di teorie, ero affascinato da quell’uomo simile a un simbolo, ad personaggio fiabesco.
Calle della Commedia è poco distante da Palazzo Grassi. Era, per la precisione, visto che oggi si chiama Calle Malipiero. Targa commemorativa: “In una casa di questa calle…nacque il 2 aprile 1725 Giacomo Casanova”. Quale casa? Non si sa. Stavo lì, con il naso all’insù e quasi mi venne addosso, naso all’insù anche lei. Venticinque anni, meno di trenta. Un cappello floscio bordeaux dal quale spuntavano riccioli scuri. Occhiali da sole, da diva del Festival. La giacca a scialle, tweed avrei detto. Una gonna scozzese cortissima. Calze nere. Ballerine nere. Disse: “Oh”. Dissi: ”Mi scusi”. Ci scambiammo una occhiata un po’ troppo lunga. Che lo facessi io, più scontato. Si voltò e scappò via. Passi svelti, lembi scozzesi mossii dal vento. Però!
Corte del Luganegher sta a San Polo. Altra residenza del Casanova. Lei, già lì, come una lucertola al sole. Le feci ombra apposta passandole davanti. Disse “Oh”, di nuovo, e scomparve, secondo copione. Quando la incontrai per la terza volta davanti all’Hotel Monaco, con annesso ciò che resta del Ridotto di San Moisè -soldi, donne, il campo giochi del nostro eroe- puntai tutto pure io: “Non dica “oh” di nuovo, per cortesia. A furia di vederci, credo sia lecito brindare”. Fece un cenno con la testa, mi seguì in un bacaro a due passi, sedette composta, le mani in grembo. Occhi scurissimi, tolti gli occhiali. Chiese di me. Raccontai. Chiesi di lei. “Potrei dire hostess, accompagnatrice…Dico mozzo. Mozzo di bordo”.
Lo disse ridendo, due fossette da baciare sulle guance. Un mozzo? Lavorava su una barca. Nome della barca “Edipo”, ormeggiata, disse, alla Marina di Sant’Elena. Era stata dello scrittore e regista Piar Paolo Pasolini, recuperata in Croazia, restaurata, utilizzata ora per eventi particolari. Benefici e non. Star del cinema e disabili, portati a spasso in laguna. I disabili gratis, grazie al denaro delle star. Ospiti da assistere, luoghi da descrivere, cibi da servire. “Casanova, perché?” domandai. Rispose sporgendosi verso di me, un candore in disaccordo con lo sguardo, molto diretto: “Perché so tutto di lui e sono morbosa. No…perversa”. Arrossii fissando due signore al tavolo accanto, intente a far sparire i loro cicchetti. Temevo stessero ascoltando. L’aveva previsto. “Il mio nome è Anna…Anne è anche il nome dell’unica donna che Casanova desiderò ma non riuscì ad avere. Così lo provoco, lo stuzzico un po’, visitandolo nei suoi luoghi. Non porto alcun indumento intimo, lo faccio apposta. E lui lo sa”. Arrossii di nuovo. Turbato. Impacciato, imbarazzato, imbranato. Ci alzammo, camminammo un poco, non sapevo che dire, come fare, il cuore a mille. Mi prese sottobraccio, leggerissima nel passo, consapevole di aver conquistato un vantaggio. Sussurrò, parlandomi all’orecchio: “Vuoi giocare anche tu vero? Più tardi, stanotte, alle 2. Barbarie delle Tole 6673”. L’indirizzo dell’ultima casa abitata da Casanova. Si staccò, voltò in una calle minuscola a destra, scomparve.
Vagai per ore, agitatissimo, eccitato al punto da non dare peso ai trilli persistenti di un allarme. Cenai, tentati di rilassarmi, di riposare leggendo. Niente da fare. Alle 2, Barbarie delle Tole era deserta e silente. Così rimase, salvo passaggio rapido di due ragazzi africani infreddoliti e un gatto a caccia di ratti. Attesi. Non venne. Ovviamente, Jack, stupido, idiota. Il mattino successivo cercai l’Edipo alla Marina. Lo scovai subito, uno yacht bianco, gli ottoni lucidissimi. Dal boccaporto uscì un uomo giovane e barbuto, chiave inglese tra le mani. Anna? Anne? Ma sì, mora, giovane…lavora qui. Mai vista, mai sentita. Il marinaio mi guardava con la testa leggermente inclinata. Sembrava un passero all’erta. Sembravo un intruso, un vecchio pazzo.
La cercai per giorni. Tre, quattro, non ricordo. Edipo. La parola rimbalzava nella testa come un enigma talmente evidente da risultare assurdo. I luoghi di Casanova sulla mappa erano tappe per appuntamenti immaginari e mancati. Mi arresi ritrovandomi per l’ennesima volta all’imbocco di calle Malipiero. Ero esausto, ero deluso. Da me stesso. Oh, Giacomo, ci prende in giro, è una fregatura. Sai cosa? Il potere di una donna è un vecchio vizio, non ha più senso. Per me. Forse anche per te”. Lo dissi sottovoce, guardando la targa, allora; lo ripeto a memoria guardando le sarde, ora. Pronte e condite con un pizzico, solo un pizzico di rimpianto.