«Nessuno ha la bacchetta magica, nemmeno Schlein». L’ex segretario del Partito democratico, Dario Franceschini, prova a difendere Elly Schlein dalle accuse che le sono arrivate da più parti dopo i pessimi risultati del partito – e dei candidati di centrosinistra – alle elezioni amministrative. In questa tornata il messaggio politico arrivato dalle urne è stato netto e indiscutibile: una vittoria della destra chiara, evidente. Ma nella sua intervista a Repubblica, con Stefano Cappellini, Franceschini dice che non bisogna sorprendersi dell’esito del voto: «Tanti fattori concomitanti spiegano il risultato. Il primo è un’onda di destra che riguarda tutta l’Europa. Il secondo elemento è fisiologico, ci sono pacchi di studi a dimostrare che in tutti Paesi del mondo, quando si vota nel primo anno di governo, c’è un effetto trascinamento. Infine c’è il terzo elemento, tutto italiano, e cioè una maggioranza unita e una minoranza divisa».
Di un possibile effetto Schlein, o qualunque cosa che potesse evitare questa batosta al Partito democratico, nemmeno l’ombra. Ma non è un buon motivo per attaccare la segretaria eletta lo scorso febbraio: «Mi rattrista un po’ che le lezioni del passato non bastino mai. Tutti i leader del Pd, sottoscritto compreso, hanno subito dal primo giorno una azione di logoramento. Allora dico: fermiamoci. Il risultato di queste amministrative non può diventare un alibi per iniziare una normalizzazione di Schlein. Lasciamola lavorare libera, non bisogna ingabbiarla». Il rischio, insomma, è che un risultato negativo di cui Schlein non ha alcuna responsabilità venga usato per indebolirla in tutti i modi possibili.
Se non è giusto attaccare – o criticare – Schlein per i risultati delle amministrative, è quanto meno lecito attendersi un cambio di rotta guardando in prospettiva futura. Tra un anno ci saranno le elezioni Europee e al momento guardando gli schieramenti è possibile distinguere delle differenze piuttosto nitide: una coalizione, quella della maggioranza di governo, che si comporta come tale, pur con tutti i suoi normali dissidi interni, e un’altra, all’opposizione, che semplicemente non è una coalizione, anzi. E la prima conseguenza la si vedrà nella stabilità del governo Meloni: «Ci piaccia o no, il governo andrà avanti fino in fondo, dobbiamo ragionare su un tempo lungo, abbiamo quattro anni a disposizione», dice Franceschini.
In questo tempo lungo, dice l’ex segretario dem, bisogna lavorare su due fronti: «Primo fronte, Pd. Secondo fronte, coalizione. Schlein ha già fatto bene al partito, con le primarie ha cominciato a recuperare consensi dall’astensionismo e dai tanti delusi di sinistra. Le va lasciato completare questo lavoro fondamentale. Quanto alla coalizione, alle europee si vota con il proporzionale, ci sta che i singoli partiti lavorino sulla visibilità, lo vedremo anche a destra».
Quando si tornerà al voto per le Europee, il governo Meloni avrà quasi due anni di vita. Un tempo sufficiente per iniziare a vedere un principio di cambiamento, dice Franceschini: la sua scommessa è che «la somma dei partiti di opposizione sarà superiore alla somma partiti di governo, e il risultato creerà un clima nel paese. Gli elettori diranno con chiarezza alle opposizioni: se state insieme potete vincere, divisi non ci potete neanche provare».