Daniela Santanchè è debolissima, basta un nulla per farla cadere, è vulnerabile come un’adolescente alle prime esperienze, è come una Maserati senza benzina, come un tailleur crema orlato di nero, insomma è una ministra che forse ha i giorni o i mesi contati.
Ha esibito ieri tutta la sua forza nervosa, pure troppo, con certi toni retorici («l’onore dei miei figli»), alcune battutine su chi oggi l’attacca e ieri le chiedeva un tavolo al Twiga, con quei passaggi da vittima nemmeno fosse il capitano Alfred Dreyfus e gli attacchi forsennati alla stampa: non è stato un grande discorso. Peraltro appesantito da troppi riferimenti da Azzeccagarbugli – non era il tribunale, era il Senato – non certo in grado di sollevare il morale della truppa che l’ha seguita nel suo Calvario senza convinzione, bastava guardare la faccia di Matteo Salvini che pareva uno con il mal di denti o ascoltare il capogruppo leghista Massimiliano Romeo che a momenti sembrava dell’opposizione.
La partita è finita zero a zero, ma Daniela ne è uscita per il rotto della cuffia e piena di lividi. D’altronde la fine era nota, nessuno si aspettava che la ministra del Turismo facesse un gesto, non è da lei, semmai di gesti in passato ne ha fatti ma di altro tipo, per esempio alzando il dito medio a favore di telecamere. Da Daniela Santanché attendersi un beau geste è come volere la luna a mezzogiorno.
A sorpresa Elly Schlein, malgrado in Senato prima Antonio Misiani e poi il capogruppo Francesco Boccia si fossero dissociati dalla mozione di sfiducia dei M5s, chiaramente destinata ad essere bocciata, in serata annunciato il sì del Pd. Una figura pessima che denota oltre allo scollamento tra la segretaria e il capogruppo al Senato, che pure è “suo”, l’inquietante subalternità alla linea casalinian-contiana tendente a accreditare un M5S più duro di tutti: cosa che Elly non può sopportare. Perché la linea di questo gruppo dirigente dalla postura gruppettara è quella di essere più puro di tutti
Il Terzo Polo ha avuto come al solito gradazioni diverse, si dice che Carlo Calenda fosse più determinato a chiedere le dimissioni politiche della ministra e Italia viva sempre attentissima alle ragioni del garantismo. In questi casi è sempre difficile fissare la linea di demarcazione tra la questione politica e l’aspetto penale: dopo trent’anni di berlusconismo ancora si fa confusione su dove vada conficcato il paletto che divide i due territori.
È indagata, non è indagata? Il quotidiano Domani scrive di sì, lei dice di no: si vedrà. Va ricordato che la procura non è tenuta a mandare l’informazione in ogni caso ma solo quando «deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere», per esempio un interrogatorio o una perquisizione. Secondo Domani Santanchè non è a conoscenza di indagini a suo carico perché l’iscrizione nel registro degli indagati sarebbe stata fatta segretamente, eventualità prevista dalla legge. E così sulle altre questioni di merito: se ci sono irregolarità o reati lo vedrà, se del caso, la magistratura.
Il punto però è che una ministra proprietaria di società sulla cui gestione ci sono quantomeno delle ombre, che Santanchè ieri non ha fino in fondo dissipato, ecco, questo è un fatto politico che come tale va registrato in sede di commento: ecco perché, anche se formalmente non è successo niente, da ieri Daniela Santanchè è un fantasma di ministro. La vicenda non è chiusa e per questo Giorgia Meloni, com’è nel suo stile, sarà furente.