La nostra troupe televisiva ricevette il messaggio a mezzogiorno e tre minuti. A mezzogiorno e un quarto con la macchina aziendale ci lanciammo all’indirizzo indicato. Il cameraman era uno dei migliori professionisti della televisione. Confidavo nel nostro successo. Nella mia testa sapevo già come intitolare il servizio di cinque minuti che avevo intenzione di girare. Il titolo sarebbe stato Icaro, il sottotitolo Il volo di un bambino. Nel quartiere Mladost VII cercammo a lungo il condominio. Alla fine lasciammo l’auto e con il cameraman attraversammo il campo di corsa. «Gira!» gli gridai a un certo punto. Quelle zolle di terra urbane, quei vicoli asfaltati a metà tappezzati di immondizia, quei fogli di giornale che volavano verso di noi; quel materasso putrido; quella cucina elettrica abbandonata – erano tutti ottimi sfondi per i titoli di testa.
Il condominio 712 si rivelò essere il più alto del complesso residenziale. Ci accolse con il bucato sputacchiante dai balconi, il bagliore argenteo delle sue finestre che guardavano il cielo, con l’altezza sorda e agghiacciante del muro perimetrale quando ci trovammo ai suoi piedi. «Gira!» dissi al cameraman, e lui puntò fluidamente la telecamera su per il muro infinito. I numeri dei piani scorrevano in modo lento e angosciante dentro l’ascensore. Scendemmo all’ultimo piano. «Gira!» intimai al cameraman, che riprese il corridoio buio, i tubi del riscaldamento avvolti di ragnatele, la triste isola floreale sul pianerottolo. Poi suonammo alla porta.
Ci aprì lo stesso Niki-Nikola. Ci strinse la mano e ci invitò a entrare. In realtà non c’era granché in cui entrare. Semplice mente facemmo i due passi che separavano la porta d’ingresso dal centro della stanza. «Accomodatevi» disse Niki-Nikola, e noi ci sedemmo attorno al tavolo. Dall’altra parte sedeva una giovane donna con due ombre scure sotto gli occhi. Il suo viso era calmo e assorto.
«Vi ho chiamato» disse Niki-Nikola «per filmare il mio volo. Ieri sono riuscito a ultimare la costruzione delle mie ali. Le ho realizzate in maniera classica, con cera e piume. Io ho sette anni. Nel corso della mia breve vita non ho lasciato questa stanza neanche una volta. Ho studiato attentamente la storia delle civiltà umane. Dopo aver riflettuto a lungo ho scoperto che non esiste un motivo legittimo per cui le persone non possano volare. Questo è tutto ciò che posso dirvi. Il mio primo tentativo intende sostituire le mie ulteriori parole al riguardo. Ecco, qui c’è mia madre. Lascio che sia lei a confermare quanto ho detto».
La telecamera ronzava piano. La donna di fronte si mosse a malapena. «Niki-Nikola è abbastanza maturo» disse lei «da essere responsabile delle sue azioni. Tutto quello che ha detto è la pura verità. Io appoggio la sua coraggiosa impresa. Niki-Nikola e io abbiamo scoperto che non è la gravità ma la paura a impedire alle persone di volare. Credo che mio figlio lo dimostrerà». Niki-Nikola era già in piedi in mezzo alla stanza e sbatteva le braccia in modo sempre più veloce. «Faccio riscaldamento» spiegò lui. «I miei muscoli devono essere caldi».
Una volta finito col riscaldamento tirò fuori le ali da sotto il letto. «Le piume sono di piccione» mormorò la madre. «Qui sul davanzale si posano molti piccioni. E comunque ci abbiamo messo sei mesi per raccogliere una quantità di piume sufficiente».
Niki-Nikola infilò gli elastici e le grandi ali agitarono l’aria nella stanza. «Bene» disse lui. «Io vado». Sua madre gli aprì la finestra e Niki-Nikola salì sul davanzale. Il cameraman si alzò e socchiuse gli occhi. La telecamera sulla sua spalla continuava a ronzare piano. Niki-Nikola si spinse giù dal davanzale con un salto. Il cameraman si precipitò verso la finestra e da lì continuò a girare febbrilmente.
Il nostro servizio andò in onda la sera stessa sul primo canale e raccolse un successo incredibile. Il titolo rimase lo stesso: Icaro. Il volo di un bambino. Il finale era particolarmente impressionante. Includeva una conversazione di due minuti con la madre. «Non potevo proibirgli di farlo. Quanti anni abbiamo passato io e Niki-Nikola in questo stanzino! È stato orribile. E giù non c’era niente di buono ad attenderci, solo quelle zolle di terra. Sapeste con quanta gioia abbiamo raccolto le piume. Sbagliate se state ancora pensando che Niki-Nikola sia morto. Il mio bambino adesso è lontano, molto lontano. È volato in un paese dove la gente non conosce la paura».
Da “Circo Bulgaria”, di Dejan Enev, Bottega Errante Edizioni, 355 pagine, 20 euro