Il nostro rapporto con la cucina gastronomica è altalenante: ci capita spesso, come in tutti i grandi amori, di avere dei momenti di stanca, in cui facciamo fatica a capire il senso della nostra passione. Ci si chiede se ancora si ha quel sacro fuoco necessario a mantenere alta l’asticella, se quel bisogno di raccontarsi è ancora autentico o è solo una trita abitudine. Spesso le occasioni di incontro sono deludenti, e quella fiammella che arde si fa via via più flebile, e diventa un lumicino che fatichiamo a riconoscere come quell’antico fuoco forte e illuminante, che travolgeva gli animi e infiammava il cuore. Più gli anni passano, più il rischio omologazione, noia, assuefazione si alza e diventa pericoloso. Sono i momenti in cui pensi che forse è arrivato il momento di lasciarti alle spalle un amore, e di rivolgerti ad altro, di scoprire altre passioni in grado di infuocarti.
Poi, un giorno come un altro, torni a sederti a una grande tavola, e capisci. Afferri il primo amuse bouche e torni in un attimo a quel primo, incredibile sguardo che ti ha legato indissolubilmente al tuo amore per questo settore. Sei di nuovo lì, quasi 25 anni fa, a un tavolo stellato che allora non era la norma, e a quell’illuminazione che ti ha fatto finalmente capire che sentire quei sapori, scoprire quelle consistenze, cogliere le sfumature di un piatto sarebbero diventate azioni che ti avrebbero riempito di gioia.
Ascolti Marco Ambrosino raccontare le sue ricette e pensi: ma come diavolo fa a costruire piatti come questi? Come trova questi spunti, come crea questi abbinamenti. Poi ci parli, e il suo modo disincantato e ironico di vedere la vita e il lavoro in cucina ti fanno capire che qui non c’è solo ricerca: qui c’è sustanza, e ogni piatto che approda al tavolo è lì a testimoniarlo. La riflessione si fa gusto, e il pensiero prende le strade più inaspettate per diventare nutrimento del cervello.
E non perché il tuo ricordo di quel che questo chef di Procida, trasferitosi a Milano dieci anni fa, ha lasciato nel tuo cervello e sul tuo palato: ma perché il suo allontanamento dalla metropoli e il suo nuovo ristorante napoletano sono una nuova, imperdibile certezza che ogni gourmand che si rispetti deve mettere nel suo carnet di indirizzi. In questa galleria poco distante da Spaccanapoli, una ristrutturazione magistrale vi farà ritornare ai vecchi cafè chantant, con un gusto e un’estetica antichi e contemporanei al tempo stesso. Un luogo che sembra come un tempo e come oggi, per la magnificenza e per il minimalismo che riesce a portare con sé, un luogo ossimorico che mette insieme colazioni, pranzi, cene e aperitivi senza soluzione di continuità e senza forzature.

Mille dettagli riescono a rendere questo luogo accogliente ed elegante, e a queste tavole nei salottini separati e caratterizzati da colori accesi diventano porte spazio temporali capaci di farvi navigare.
Mille dettagli riescono a rendere questo luogo accogliente ed elegante, e a queste tavole nei salottini separati e caratterizzati da colori accesi diventano porte spazio temporali capaci di farvi navigare.
Non ricorderete i singoli elementi che mangerete, forse, ma vi si apriranno mondi, si scopriranno gusti, si accenderanno memorie. Nessuno dei sapori sarà consueto, eppure nulla vi risulterà estraneo. Perché qui tutto è fuori scala, ma comprensibile. E quello che non lo è nell’immediato lo sarà al palato, pronto ad accogliere piacere e divertimento a ogni boccone. Nessun gioco di calore o consistenze: nessun artificio. Solo piacere puro che sedimenta il ricordo e lo rende percezione assoluta.
Come sapete su queste pagine non facciamo mai recensioni, e questa non vuole esserlo: ma sicuramente questa tavola va visitata, e presto. Perché è come se il viaggio andata e ritorno, Procida – Milano – Napoli avesse permesso a questo giovane determinatissimo e scanzonato di cogliere il meglio dei due mondi, shakerarlo con le sue infinite conoscenze di alimenti e tecniche, di saperi e sapori, da portarlo a un condensato di bontà introvabile altrove. Una nuova forma di cucina a cui ispirarsi per comprendere come potrebbe essere il futuro della ristorazione gastronomica, scevra da mode, libera da schemi, depurata da pensieri cervellotici. Devota al gusto e alla sperimentazione intelligente, al mediterraneo e alle sue infinite potenzialità, al piacere puro dello stare a tavola per mangiare e divertirsi, star bene ed essere stupefatti.