Lo scorso luglio, il tribunale penale specializzato dell’Arabia Saudita ha condannato a morte un ex insegnante in pensione di cinquantaquattro anni, Mohammed al-Ghamdi, per aver espresso pacificamente il suo dissenso nei confronti del governo saudita su X (Twitter) e YouTube. Circa un anno prima, lo stesso tribunale aveva condannato Salma al-Shehab – una giovane dottoranda dell’Università di Leeds madre di due figli – a oltre trent’anni anni di carcere, dopo un processo gravemente iniquo. Le accuse contro di lei includevano la pubblicazione di post «che disturbavano l’ordine pubblico», in relazione ad alcuni tweet in cui esprimeva sostegno a cittadini tenuti prigionieri nel Paese. Organizzazioni come Amnesty International, del resto, hanno ampiamente dimostrato come la retorica sulle riforme preconizzata dal principe della corona Mohammed bin Salman sia in contrasto con la situazione reale dei diritti umani nel Paese. Per tutte queste ragioni, la scelta dell’Arabia Saudita come Paese ospitante del prossimo Internet Governance Forum ha generato diverse polemiche.
L’Internet Governance Forum (Igf) è un incontro multilaterale organizzato annualmente sotto l’egida dell’Onu, all’interno del quale si dibatte di questioni relative alla governance del web globale. In sostanza, l’evento riunisce tutte le parti interessate alla discussione sulle politiche di gestione – più o meno aperte – della rete digitale, dai rappresentanti dei governi al settore privato. La manifestazione si è svolta per la prima volta nel 2006 e da allora mantiene uno scopo più consultivo che normativo: anche se non è responsabile della definizione di standard e regolamenti (compito che spetta all’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni), permette un confronto su vari aspetti, per dare forma a risposte su questioni estremamente delicate che riguardano il modo attraverso cui i vari Paesi di tutto il mondo condividono materiale, informazioni e opinioni attraverso Internet.
L’edizione 2023 dell’Igf si è tenuta a Kyoto e si è conclusa lo scorso 12 ottobre. Sebbene le Nazioni Unite non avessero ancora annunciato formalmente l’Arabia Saudita come Paese ospitante del prossimo incontro, il ministro delle Comunicazioni Abdullah Alswaha si è lasciato sfuggire la notizia nel corso della manifestazione, confermata poi in chiusura dell’evento. Alswaha ha illustrato alcuni temi chiave della prossima kermesse che si terrà a Riad: l’intelligenza artificiale generativa e il divario digitale.
Evidentemente, nel suo discorso non c’era spazio per fare riferimento alla sorveglianza digitale dei cittadini, strumento che l’Arabia ha ampiamente utilizzato per il controllo dei dissidenti e che in più di un’occasione ha portato a indagini e processi giudiziari ingiusti. Processi che sono terminati comminando la pena di morte a individui rei di aver denunciato la situazione dei diritti umani nel Paese, lo stesso colpevole del barbaro assassinio del giornalista Jamal Khashoggi. Secondo l’organizzazione per la democrazia e i diritti civili Freedom House, inoltre, l’Arabia Saudita mantiene una delle infrastrutture Internet più restrittive e censurate al mondo, dietro a realtà quali Egitto, Bangladesh e Pakistan. Sull’onda dello sconcerto suscitato, l’associazione per i diritti digitali Access Now ha inviato una lettera al segretario generale dell’Onu, con la richiesta di revocare l’assegnazione.
Al momento non è chiaro se l’Arabia sia stato l’unico Paese a presentare la propria candidatura per ospitare il Forum. Nel 2021, la società canadese di cybersicurezza eQualitie lanciò una petizione affinché l’edizione 2024 dell’incontro si tenesse a Montreal; decine di aziende tecnologiche e organizzazioni del Canada sottoscrissero la petizione, che però venne ignorata dal governo.
In uno degli ultimi comunicati stampa diffusi, eQualitie ha definito la scelta dell’Onu «un’opportunità mancata», specificando come il successo di Riad «sollevi preoccupazioni sulla capacità del Forum di mantenere i suoi principi di dialogo aperto e collaborazione con la società civile». Non è la prima volta, a ogni modo, che un regime illiberale riesce nell’impresa: l’anno scorso l’aveva spuntata l’Etiopia e l’incontro si era tenuto ad Addis Abeba, in un momento in cui l’Internet del Paese non era del tutto libero a causa del violento conflitto del Tigray. Una situazione paradossale.
Come se non bastasse, Wired ha fatto sapere che ci sono possibilità concrete che l’edizione 2025 possa tenersi in Russia. Nel 2020, il Russian Internet Governance Forum aveva infatti pubblicato un comunicato stampa in cui annunciava che Mosca era stata selezionata come sede per il 2025, citando una comunicazione ufficiale inviata dalle Nazioni Unite. La conferma era stata ribadita nel dicembre 2021 dal vice primo ministro russo Dmitry Chernyshenko, che durante un discorso pubblico aveva dichiarato: «La scelta come sede della ventesima edizione del forum è per noi un grande onore e la prova che le forti posizioni del nostro Paese nel campo dello sviluppo della società dell’informazione e delle tecnologie digitali sono riconosciute».
Nonostante l’invasione dell’Ucraina e l’inasprimento delle politiche repressive attuate dal Cremlino nei confronti dei propri cittadini, Mosca sembra restare il principale candidato. Per la cronaca, la Russia si trova alle spalle dell’Arabia Saudita nella classifica di Freedom House sul livello libertà di Internet nel mondo, con un distacco di tre posizioni. È quintultima in senso assoluto, su un totale di settanta nazioni.
La conferma saudita per il 2024 e l’ombra russa che aleggia intorno all’edizione 2025 rischiano di gettare un’ombra oscura sull’Internet Governance Forum e, per diretta conseguenza, anche sull’Onu. Il timore che l’incontro diventi solo una vetrina, un’esca utilizzata dai Paesi autoritari per trasmettere una falsa immagine di sé, è concreto. Ma non è l’unico: dopo aver lavorato duramente per sminuire il modello di governance condivisa del web, molti governi ora potrebbero spingere per un processo di normalizzazione della propria idea di Internet, favorendo il concetto di ecosistemi digitali chiusi sui quali poter esercitare un controllo sempre più capillare. Mai come ora, una ferma condanna del mondo occidentale contro le logiche della telecomunicazione illiberale sembra necessaria.