Undici è un uomo inglese eterosessuale di ottant’anni. Vive separatamente dalla sua compagna.
POLLY BARTON — Cosa ti ricordi del tuo primo incontro col porno?
UNDICI — Se ci riferiamo al porno come lo conosciamo oggi, fino ai quarant’anni non ho mai visto nulla di simile. Ma se ti riferisci al porno come a qualcosa che eccita, intenzionalmente o per caso, esistevano materiali eccitanti ben prima del porno online; per me personalmente, e anche per altri. Forse ha senso dividere tutte le mie esperienze col porno in fasi diverse, la prima delle quali risale a quando avevo tra i quindici e i vent’anni – perciò più o meno tra il 1955 e il 1960; immagino che sia l’età in cui molti giovani oggi guardano porno online. Per quanto riguarda libri e testi, potevo accedere alla narrativa pulp: gialli, come quelli scritti da Hank Janson, dove compariva sempre un’eroina sensuale e si potevano leggere descrizioni del suo seno, delle camicie scollate, dei vestiti attillati e via dicendo.
Molto simile ai romanzi di Lee Child oggi. Quando si incontra l’eroina, di solito viene rappresentata in un certo modo: era quello il livello di descrizione, o titillamento, che potevi trovare in quei libri. Le trame erano pessime, ma i libri venivano fatti girare tra amici e sfogliati abbondantemente, perciò potevi aprirli direttamente nelle parti in cui la gente aveva fatto il segno. Poi c’erano due riviste, una che si chiamava Reveille e una Titbits.
Per altro la parola “titbits” non aveva nulla a che fare col termine colloquiale che si usa per indicare il seno delle donne: significava semplicemente, come del resto anche oggi, “spizzichi e bocconi”. Di solito sulle due riviste in copertina c’erano foto di ragazze, non nude, solo in bikini, e dentro invece ci trovavi storie oscene, informazioni sulle corse dei cavalli, sullo sport. Se volevi vedere una bella ragazza in bikini, allora compravi Reveille. Poi ovviamente il pezzo forte erano i magazine naturisti. Ultimo scaffale in alto. Erano pieni di immagini di ragazze pettorute, intente a lanciare palloni per aria. Sotto la vita scomparivano dietro ai cespugli. Si vedeva tutto, ma solo dalla vita in su.
Com’era comprare una rivista pornografica a quindici o diciotto anni?
C’era una componente di vergogna perché erano tutte cose considerate un po’ volgari e sporche dal punto di vista sociale, perciò non lo raccontavi ai quattro venti. Se ne compravi una, chiamavi i tuoi amici più stretti a raccolta e la sfogliavate insieme, hai presente? In pratica, era l’unico modo se volevi accedere facilmente a immagini di nudità femminile. Esisteva anche la pornografia, ovviamente, ma i giovani e il pubblico generico non potevano accedervi in modo così disinvolto. Dovevi diventare membro di associazioni speciali ed era tutto segretissimo.
Parliamo di riviste, o video?
Riviste… all’epoca non esistevano i video. C’erano i film, in pellicola da 8 mm, quindi per vederli ti serviva un proiettore. Aggeggi vecchi e rumorosi, bisognava installarli e poi oscurare la stanza. Ma io non ero coinvolto in quel genere di cose. Altri lo erano, senz’altro, ma questo per dire che non erano contenuti facilmente disponibili. Ti dovevi dare da fare, se volevi avere accesso a quel mondo. Non potevi trovarli sottobanco e neppure via posta. Siccome all’epoca vivevo nell’Essex, i miei amici e io andavamo spesso nel West End di Londra, e Soho era un quartiere pieno di attrazioni. C’era il Windmill Theatre, dove le ragazze posavano coi fan. Lì non ci andai mai perché non mi interessava granché; ero molto più curioso di frequentare tutti i jazz club che c’erano in giro in quel periodo. Esistevano però dei chioschi dove pagavi l’ingresso e potevi guardare film a luci rosse. Ma né i miei amici né io eravamo affascinati dalla cosa e non ho mai conosciuto qualcuno che ci andava, perché – di nuovo – era tutto virato sul genere guardone in impermeabile. Molto illecito. Era quello il livello di porno a cui venni esposto in quegli anni; in verità dovremmo chiamarla pornografia peso piuma. Nessun pene eretto, nessuna nudità integrale, tutto in posa. Ciononostante, ed è questo l’aspetto interessante, esistevano cose che mi eccitavano nello stesso modo in cui oggi ci si eccita guardando video porno. Nel senso che io e i miei amici riuscivamo a eccitarci, ad avere un’erezione, consumando immagini, riviste o libri piuttosto innocui al confronto con gli standard odierni.
Non ti serviva altro?
Impossibile dire se fosse abbastanza, perché erano gli unici materiali che avevi a disposizione. Non potevi fare confronti. Leggere un passaggio relativamente spinto in un libro di narrativa pulp o vedere una giovane donna in topless in Health and Efficiency era il massimo per me e i miei amici.
Hai detto che non si vedevano peni eretti, ma si vede qualche uomo, in quelle riviste naturiste?
No. Io sono eterosessuale e non so se, qualora fossi stato gay, avessi trovato materiale raffigurante uomini in quegli anni. In tal caso sarebbero stati sicuramente contenuti clandestini perché l’omosessualità diventò legale solo nel 1957 con il Wolfenden Report. Esistevano delle riviste di fitness con uomini muscolosi in posa: chissà chi le comprava. Ma sicuramente senza nudità integrale. Poi la fase successiva fu L’amante di Lady Chatterley, che uscì nel 1960. Già da prima si sapeva dell’esistenza di un libro che era stato scritto nel 1920 ed era un po’ scabroso, ma finiva lì. Però quando finalmente venne pubblicato, tutto d’un tratto parole tabù come “fica” o “scopare” arrivarono in primo piano, con tutto il loro significato letterale. Fino a quel momento, erano termini che si usavano molto raramente.
Quindi L’amante di Lady Chatterley rappresentò un vero punto di svolta?
Sì. Eravamo agli inizi della cosiddetta era della permissione degli anni Sessanta. Ora era possibile acquistare un libro in cui potevi leggere quelle due parole nonché descrizioni sessuali abbastanza esplicite. Questo fece sì che vennero pubblicati libri come il Kama Sutra, La mia vita e i miei amori di Frank Harris e Fanny Hill. Bisogna aggiungere che, negli stessi anni, il teatro cominciò a diventare un po’ più progressista. Il musical Hair conteneva una canzone sulla masturbazione e il cunnilingus. Non so se la conosci? “Masturbarsi è bello.” Improvvisamente quelle parole circolavano liberamente. Hair fu in cartellone al West End per un sacco di tempo. Non era uno spettacolo erotico; era un film pacifista, contro la guerra in Vietnam. C’era della nudità ma si vedeva pochissimo perché gli attori ballavano sotto una specie di rete, per cui si potevano distinguere solo forme vaghe. Perciò quelle parole esplicite fecero lievitare di un bel po’ la descrizione dell’atto sessuale. E man mano si infiltrò nel linguaggio quotidiano. Ci si diceva, “Ah, l’altro giorno ho letto Fanny Hill” e poi si discuteva del libro. Divenne tutto più aperto e non fu più visto come un tema osceno nelle conversazioni. Il che, con tutta la novità della musica e della moda, rese gli anni Sessanta un periodo molto elettrizzante in cui vivere, e la pornografia faceva parte dello stesso mucchio, per tentare di lasciarsi alle spalle vecchi tabù sul sesso e sulle pratiche sessuali.
Ti ricordi se ne parlavi con i tuoi amici?
Sì. Mi sposai in quel periodo, come molti dei miei amici. Ci confrontavamo sul fatto di provare o meno le varie posizioni del Kama Sutra, “la posizione del bambù” e via dicendo. I miei amici e io eravamo chiaramente attenti a quei libri nuovi e discutevamo di vari argomenti, come Lady Chatterley: era proprio necessario usare parole come “scopare” e “fica”, era solo desiderio di scandalizzare? Erano cose che mettevamo in discussione già all’epoca.
Erano discussioni che avvenivano in un gruppo con uomini e donne o era un tipo di conversazione che tendeva ad aver luogo in gruppi di persone dello stesso sesso?
Ero molto sportivo a quei tempi, ma non mi ricordo di aver parlato con nessuno dei miei compagni di allenamento del Kama Sutra o simili. La gente si vergognava a parlarne in gruppi di soli maschi. Nella mia esperienza si trattavano sempre di dibattiti misti. Così successe che, in un lasso di tempo di due o tre anni, si passò da una fase pre-Lady Chatterley, in cui non si poteva parlarne con nessuno a meno che non si conoscesse l’altra persona intimamente, a una fase in cui si parlava di tutto con membri del sesso opposto.
Ed era lo stesso con la tua partner sessuale? Parlavate di questo?
Sì. In molti comprarono Lady Chatterley per leggerlo insieme alla propria compagna o il proprio compagno. Io feci così, e credo anche i miei amici sposati. Potevi farti una risata sfogliando il Kama Sutra insieme.
C’era un qualche tipo di riconoscimento che esistesse anche la masturbazione femminile o si era comunque sempre orientati verso l’esperienza maschile?
La masturbazione femminile arrivò un po’ più tardi. Il mondo della masturbazione era decisamente un mondo maschilee, secondo i miei ricordi, quella femminile non veniva affatto riconosciuta. Di sicuro negli anni Cinquanta la masturbazione maschile aveva ancora di fronte a sé un velo di pudore vittoriano. Se ti masturbavi, ti sarebbero successe cose brutte, ti sarebbero cresciuti i peli sul palmo delle mani, avresti perso la tua energia, era una cosa vile da fare. Gli anni Cinquanta erano molto vicini ai Trenta, anche se c’era stato un intervallo di vent’anni in mezzo. La seconda guerra mondiale arrestò un po’ le cose e allo stesso tempo le accelerò, perché i giovani, donne e uomini, non sapevano se sarebbero stati vivi il giorno successivo, evidentemente si viveva alla giornata e c’era un clima sessuale molto acceso. Ciononostante, per quanto riguarda il materiale pornografico disponibile, i tempi erano quelli che erano.
Non so se le donne ne parlassero tra di loro, ma per quanto ne sappia io, la masturbazione femminile divenne un tema solo molto più tardi. In un gruppo misto, le donne dicevano, “Ecco, m’immagino che ti venga duro guardando questo”, ma non era mai reciproco, da maschio non avresti mai fatto un’osservazione simile a una donna. Ci volle un po’ di tempo perché gli uomini si rendessero conto che, quando si fa sesso con una donna, la si può aiutare con la masturbazione e rendere l’incontro godibile. Sai, no, tutto il discorso sulla preponderanza della penetrazione maschile.
M’immagino che a quell’epoca non si sapesse molto dell’orgasmo femminile.
C’era una maggiore attenzione nei confronti dell’orgasmo femminile sia grazie a testi di saggistica sia di finzione, al punto che certi uomini si “vantavano” di portare le proprie partner all’apice del godimento. Ma sicuramente non c’era la “scienza dell’orgasmo femminile” come oggigiorno. Nessuno aveva mai sentito parlare del punto G, ad esempio. Guardandomi indietro, direi che le riviste maschili come Playboy diventarono popolari intorno a quegli anni. Alla fine degli anni Sessanta lavorai in un paese africano che aveva conquistato l’indipendenza da poco, e, stranamente, lì quelle riviste circolavano molto più liberamente. Forse avevano un atteggiamento più laissez-faire, meno protestante. Non che ci fosse una scelta infinita, ma Playboy era più facile da trovare.
Mi ricordo una cosa, però. Eravamo molto amici di alcuni sudafricani bianchi che in realtà erano rifugiati politici; si erano scontrati con il regime dell’apartheid e furono perseguitati dalla polizia di sicurezza sudafricana, la Special Branch. All’epoca, il Sudafrica e la Rhodesia erano ancora sotto l’influsso dell’apartheid, Ian Smith e gli altri. Se volevi metterti in salvo, da nero o da rifugiato politico bianco, dovevi andare verso nord e attraversare il fiume Zambesi. Io diventai molto amico di una coppia bianca, e lui mi raccontò che la prima cosa che fece, quando uscì dal Sudafrica, fu comprare Playboy – non perché voleva guardare le foto delle ragazze ma perché per lui la rivista simboleggiava libertà. Voleva dire che lui era libero, perché in Sudafrica era vietato. Avvicinandosi agli anni Settanta, ci fu un’evoluzione su vari piani; uscivano sempre più libri sull’argomento e così via. A teatro, in particolare, si cominciò a vedere più nudità. Nacque una rivista coordinata dal critico teatrale Kenneth Tynan, che mobilitò artisti e gente più disparata come John Lennon e scrisse una serie di scene a tema erotico che poi raggruppò in uno spettacolo intitolato Oh! Calcutta!. Per molte persone fu uno shock, non tanto per la nudità ma per il contenuto: due tipi che si eccitano e si masturbano guardando Il cavaliere solitario.
Oppure due donne che chiacchierano tranquillamente di com’è masturbarsi. Entrambi gli sketch rivelavano il tabù che aleggiava intorno alla masturbazione maschile e femminile all’epoca. Ma, ovviamente, il fattore decisivo e determinante per la diffusione della pornografia non è proprio il comportamento sociale, bensì la tecnologia che si ha disposizione. Fino ad allora, l’unica tecnologica accessibile all’uomo comune erano le pellicole in 8 mm, usate pochissimo. Ma poi arrivarono le cassette VHS. Fu quello il momento in cui si cominciò ad avere accesso alla pornografia come la conosciamo adesso, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta. I danesi furono i primi ad allentare le leggi contro la pornografia e diventarono i primi produttori di videocassette – si chiamavano “danesi blu”. Poi avevi un’altra fonte, in California, che era un derivato della cultura hippie, soprattutto intorno a San Francisco. Inizialmente non era facile procurarsele. Ti toccava andare nei negozietti di Soho per trovarle. Poi, a poco a poco, potevi ordinarle via posta, ma non sapevi mai cosa ti sarebbe arrivato.
Perché le sceglievi dal titolo o perché era un servizio in abbonamento?
C’era il titolo, ma non sapevi mai se sarebbe stato un porno hard o soft. La maggior parte era porno soft. Il discrimine tra porno hard e soft era un pene eretto. In realtà, era molto raro vedere anche solo l’ombra di pene. Tanti dei primi video porno erano molto soft, ancheggiamenti e sfregamenti a ripetizione che ti venivano venduti come la rappresentazione di un rapporto sessuale.
Era evidente che fossero messinscene?
Sì. Il porno soft di questo genere era parecchio diffuso in quegli anni. Poi cominciarono a esserci video importati dall’estero. Con relativa facilità trovavi i contatti nella sezione video di Exchange and Mart. Ma di nuovo, la cosa comportava dei rischi perché molte di quelle cassette erano state copiate così tante volte che la qualità del suono e dell’immagine poteva variare moltissimo. Alla fine io mi stufai della bassa qualità dei video e dopo un po’ smisi di interessarmici. La prima volta che vidi un porno di buona qualità fu con un gruppo di colleghi del lavoro. Erano i primi anni Ottanta quindi avevo quarant’anni o giù di lì. Mi invitarono a mangiare fish and chips un venerdì sera, e a guardare porno.
Raccontami! Sia dell’impressione che ti fece il porno sia dell’esperienza di guardarlo assieme a un gruppo di uomini che mangiano fish and chips.
Insomma, fu un po’ uno shock. E siccome fu uno shock vissuto in compagnia, non fu proprio eccitante. Le donne erano attraenti – ecco un’altra cosa che vale la pena di menzionare: nel corso dell’evoluzione della pornografia, sia gli attori sia le attrici diventarono più attraenti. Ma a parte quello, fu uno shock. Non potevi credere ai tuoi occhi: quel tipo aveva veramente appena infilato il proprio uccello nella fica della donna? Ovvio, a quel punto erano cose che io avevo già fatto. Ma distanziarsi e vederlo succedere dall’esterno era tutta un’altra cosa.
Pur avendo già fatto sesso, fu comunque uno shock vederlo sullo schermo per la prima volta?
Sì. Eravamo tutti uomini sposati, quindi avevamo già fatto sesso. E sebbene mi fosse capitato di guardarmi nello specchio mentre lo facevo, si trattava sempre solo di me e di mia moglie, con cui ero in intimità. Vederlo oggettivamente in quel modo fu un colpo e non mi fece per nulla un effetto eccitante. E credo neanche agli altri. Fecero commenti scurrili sulla dimensione dei peni o dei seni, prevedibile chiacchiericcio maschile. Ma allo stesso tempo c’era la sensazione di oscenità sgradevole che si prova a volte guardando porno con qualcuno che non si conosce troppo bene. Fu una reazione strana. Ci si chiede, se pure le persone che hanno raggiunto la maturità sessuale, di oltre quarant’anni, si sentono a disagio, che effetto potrebbe avere sui dodici-tredicenni?
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Da quello che hai detto, presumo che tu abbia visto porno su Internet. Ti ricordi il tuo primo incontro col porno online?
Non mi ricordo, no. Fu quasi una cosa ininterrotta. Perché dopo le cassette arrivarono i DVD e i DVD avevano una qualità ben superiore, sia in termini di pornografia che di produzione. Quindi ne comprai qualcuno. Potevi scegliere da una vasta gamma di sottocategorie e guardarli direttamente dal tuo lettore DVD in casa, il che significava che potevi fruirne su uno schermo relativamente grande. Ero parecchio soddisfatto. Fu una mia fidanzata a chiedermi se guardassi porno online. Risposi di no. All’epoca facevo comunque fatica col computer. Questo è l’altro aspetto: la tecnologia è cruciale, per certi versi. Io nonsapevo dove andare a guardare. Lei mi consigliò un sito adatto, chiamato xHamster. Ma poi mi resi conto che toccava guardarlo sul piccolo schermo del portatile, perciò non fu memorabile. Era una semplice continuazione del porno più o meno decente che offrivano i DVD. Eccetto evidentemente il fatto che fosse a portata di un paio di click, quindi non bisognava andare a comprare niente, o ricevere pacchi o cataloghi promozionali di DVD porno che non avevi chiesto.
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Come ti senti quando osservi com’è presente il porno nella società contemporanea? Che opinione ti sei fatto rispetto alle modalità con cui la tecnologia ha trasformato il porno?
Direi che mi preoccupa, in realtà. Sai, fino ai quarant’anni ho avuto una vita sessuale molto appagante – vita sentimentale, matrimonio, chiamali come ti pare – e senza aver mai visto porno propriamente inteso. Consumare porno quando si ha vent’anni e ancora prima può migliorare la tua vita sessuale, può eccitarti in modo positivo, prepararti a fare sesso. Ma io penso a ragazzini di dodici o tredici anni, al fatto che si aspettino che la donna sia lì per succhiarglielo, in pratica, che sia disponibile al rapporto, a spogliarsi. Se questa è la prima e unica impressione che ricavi dal guardare porno, è preoccupante. Uno degli aspetti piacevoli del sesso è che ti abitui a queste cose. Si trova una persona con cui cominciare un percorso e, se quel percorso procede con l’acceleratore, uno si chiede che cosa rimanga.
Ripenso al mio ingresso innocente al mondo: una ragazza ben fatta, in bikini; vaghe parole che descrivono natiche solide, scollature e così via. Io non sapevo niente, i miei amici neppure. Ma mi eccitò eccome: ammetto che mi sono masturbato su quelle immagini o quelle parole. Si potrebbe fare un paragone con le droghe, suppongo; ogni volta ti serve qualcosa di più forte. Mi chiedo se sia possibile controbilanciare la facilità con cui i giovani hanno accesso al porno, ma è difficile capire cosa fare. Dev’essere bello complicato, per un genitore, dire, “Senti, non devi scopare una donna la prima volta che la vedi”, oppure, “Non devi obbligarla a prendertelo in bocca la prima volta che la vedi”. Magari sto esagerando.
Forse esiste la preoccupazione che le persone tendano a essere meno interessate al sesso vero e proprio, alle altre persone, a sviluppare rapporti intimi, perché il porno per come esiste oggi è così potente, colorato, così appassionante, e appassionato.
Già, perché l’unica cosa che importa è l’orgasmo, non è così? Ecco cos’ho imparato: più invecchi e meno rapidamente raggiungi l’apice. Che tu sia donna o uomo. Quindi impari ad apprezzare il percorso. Prima facevo avanti e indietro in auto da casa alla città più vicina, e vedevo solo una fila di case e siepi. Mi ricordo che una volta che l’auto era rotta o per altri motivi prendevo l’autobus, salivo sempre al piano superiore per guardare oltre le siepi e vedere la campagna circostante. In un certo senso, è così che mi godo il sesso oggi: preoccupandomi meno della destinazione, cioè l’orgasmo. Apprezzo il viaggio. E a volte non lo raggiungi mai, perché l’intimità, l’amore, la sensualità e tutto il resto sono altrettanto piacevoli.
Quando sei giovane l’orgasmo ti sembra il non plus ultra del sesso, e ovviamente è molto bello. Ma se non raggiungi l’orgasmo, non ti sembra di aver fatto sesso per davvero. Specialmente per l’uomo, che deve eiaculare. Ma la fisiologia ti rallenta. Il sesso è solo una parte del benessere di una persona, come tutto il resto. Non posso più fare le corse campestri come facevo una volta, molte azioni fisiche non le posso fare, e il sesso rientra in questo ordine di cose. La fisiologia rallenta. Le sessioni di sesso degli ultimi anni sono probabilmente più lunghe di quelle che ho vissuto da uomo più giovane. Anche a causa delle mie partner, non sono solo io, ma non c’è quella spinta ad arrivare all’orgasmo e poi sentire che è finita lì. Ma per me adesso il sesso è altrettanto gratificante.
Invecchiando devi mettertici di buona lena, però. Ogni lasciata è persa, a quest’età. Perciò cerco di tenere la mente attiva, faccio le parole crociate e altri giochi enigmistici, e per una ragione ben precisa. Adesso se vado a fare una passeggiata, non è solo perché è una bella giornata per fare due passi in campagna – devo tenere gli arti, il cuore e i polmoni in movimento. Analogamente, quando faccio sesso o quando mi masturbo, in parte è per assicurarmi di non perdere lo stimolo. So che ad alcuni non sembrerà giusto. La spinta sessuale si riduce e alcuni la lasciano semplicemente svanire, talvolta senza neppure sentirne la mancanza. Però per quanto mi riguarda, parte della mia mascolinità significa anche essere ancora in grado di fare sesso con qualcuno, o masturbarmi ed eiaculare. Sono sicuro che, quando avevo la tua età, non avrei mai immaginato che la gente a ottant’anni potesse ancora fare sesso.
Beh, oggi grazie al porno che ci illustra ogni scenario possibile, non dobbiamo più immaginarci niente.
Ah già, giusto, una delle categorie sono le “grannies”, le nonne, vero? Sono belle gionvincelle come nonne, però, senza offesa. Ci sono le categorie più disparate. Da un certo punto di vista è una cosa sana. Se la gente vuole guardarsi due sessantenni che scopano, dev’essere una liberazione vedere categorizzati come pornografia due anziani che si divertono. O magari anche più vecchi di me.