Legami e distinzioniPerché l’inquinamento può influenzare il clima

La colpa è dei cosiddetti inquinanti climatici di breve durata, che contribuiscono al riscaldamento globale anche se resistono nell’atmosfera per poco tempo

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Limitare l’aumento della temperatura globale entro gli 1,5 gradi centigradi rispetto all’era preindustriale, come immaginato dall’accordo di Parigi, è un obiettivo sempre più fuori portata. Lo sostiene uno studio recente pubblicato su Nature. I ricercatori hanno ricalcolato il cosiddetto carbon budget, cioè la quantità di biossido di carbonio, alias anidride carbonica o CO2, che possiamo ancora permetterci di disperdere nell’atmosfera prima di superare l’ambizioso limite del grado e mezzo. È risultato che, all’attuale ritmo di emissioni di CO2, potremmo superare questa soglia in meno di sei anni. 

Sia chiaro da subito: questo non vuol dire che la battaglia sia persa, che non ci sia più niente da fare. Il secondo limite ideale da non superare fissato dall’Accordo di Parigi è quello dei due gradi, come ha ricordato lo scienziato del clima dell’Università di Leeds Christopher J. Smith, «dobbiamo ancora lottare per ogni decimo di grado» e se riusciremo a limitare il riscaldamento globale a 1,6 o 1,7 gradi sarà «molto meglio di due gradi». Come sappiamo, infatti, a ogni ulteriore aumento della temperatura globale corrisponde un maggiore rischio di ondate di calore, incendi, disastri naturali e danni agli ecosistemi. 

Conseguenze ulteriori o peggiori rispetto a quelle a cui già assistiamo possono ancora essere evitate, ma è bene essere consapevoli del fatto che la finestra per farlo si restringe. Solo nel 2021 la comunità scientifica ipotizzava che l’attuale tasso di emissioni di CO2 avrebbe potuto proseguire per circa undici anni prima di portarci probabilmente oltre la soglia del grado e mezzo. 

Sono passati un paio d’anni e le prospettive si sono decisamente ridimensionate, per più motivi. Prima di tutto perché, avvisano gli autori della ricerca, la soglia di 1,5 gradi è ormai molto vicina e questo rende complicato calcolare con precisione il carbon budget: qualunque cambiamento nella metodologia usata può variare di molto il risultato.

In secondo luogo perché, aggiornando questo calcolo, gli scienziati hanno inserito anche le più recenti emissioni di CO2, che non sono poche: secondo il progetto di ricerca internazionale Global Carbon Project le emissioni nel 2022 sono rimaste a quote record, superando i livelli del 2021 e del 2019 (nel 2020 la pandemia aveva portato a un calo temporaneo). 

Infine, perché la stima è stata valutata anche alla luce di nuovi aggiornamenti, tra cui una migliore comprensione di come l’inquinamento atmosferico è legato alle emissioni di gas climalteranti e alla temperatura globale. 

Emissioni e inquinamento non sono la stessa cosa
Quando si parla di emissioni legate a crisi climatica e riscaldamento globale, ci si riferisce sostanzialmente alle emissioni di CO2 conseguenti alle attività umane. L’anidride carbonica e altri gas serra sono presenti naturalmente nell’atmosfera: lasciando passare molte radiazioni che vengono dal sole ma non facendo altrettanto con parte delle radiazioni infrarosse che provengono dalla Terra, questi gas regolano la temperatura del pianeta e sono responsabili del cosiddetto effetto serra. 

Come sappiamo, però, le attività umane dalla rivoluzione industriale in poi hanno aumentato enormemente la quantità di gas serra rilasciata nell’atmosfera, per la maggior parte CO2, accentuando in modo allarmante l’effetto serra e causando l’aumento delle temperature globali con tutte le conseguenze che conosciamo. 

La CO2 si genera come prodotto di scarto in seguito ad alcuni processi chimici, ad esempio la produzione di ammoniaca, ma soprattutto si forma e viene di conseguenza rilasciata nell’atmosfera ogni volta che si verifica la combustione di un materiale a base di carbonio, come metano, petrolio o carbone. 

Ecco perché tutte le attività umane che sfruttano questi combustibili fossili – trasporti, produzione di energia, processi industriali – comportano un aumento delle emissioni di CO2. Va detto che a questo incremento delle emissioni di anidride carbonica contribuisce anche lo sconsiderato danneggiamento degli ecosistemi, come le foreste, che potrebbero rimuovere naturalmente questo gas dall’atmosfera. 

L’uso di combustibili fossili non produce solo CO2, ma anche minuscole particelle inquinanti che fanno parte del particolato, miscela di sostanze microscopiche che rende l’aria dannosa per la salute umana causando morte prematura e malattie cardiache e respiratorie. Il particolato influenza però anche il clima, perché contiene i cosiddetti inquinanti climatici di breve durata. 

Gli inquinanti climatici di breve durata
Sebbene resistano nell’atmosfera per poco tempo, come suggerisce il nome, queste sostanze contribuiscono al riscaldamento globale. Ne è un esempio il particolato carbonioso chiamato nerofumo, che concorre al surriscaldamento dell’atmosfera (è uno dei maggiori responsabili di questo processo dopo la CO2 stessa) e all’accelerazione dello scioglimento dei ghiacciai. 

Un altro inquinante climatico di breve durata è il metano, un gas serra che, dice la World health organization, è ottantaquattro volte più potente della CO2. Nel particolato ci sono però anche sostanze che, pur rimanendo dannose per la salute umana, hanno in realtà un effetto rinfrescante sull’atmosfera: è il caso dei solfati, che bloccano la radiazione solare.

Aggiornando la stima del nostro carbon budget residuo, dunque, il recente studio pubblicato su Nature ha incluso nel calcolo non solo le emissioni di CO2, ma anche il contributo delle emissioni diverse dall’anidride carbonica che pure, come abbiamo visto, influenzano il clima in modi diversi

Esaminando scenari differenti di co-evoluzione delle emissioni di CO2 e di altri inquinanti, si è arrivati anche a questa conclusione: immaginando una riduzione dell’inquinamento atmosferico nei prossimi anni, verrebbe eliminato in misura maggiore questo effetto raffreddante che alcune sostanze presenti nel particolato hanno sull’atmosfera. Una prospettiva che il giornalista esperto di clima del New York Times Raymond Zhong definisce «good for lungs, bad for global warming», dal momento che influenza indirettamente il carbon budget che possiamo ancora permetterci di spendere.

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