Il mercato del lavoro italiano a novembre 2023, secondo gli ultimi dati Istat, ha continuato a crescere, guadagnando oltre trentamila occupati in più in un mese. Alla vigilia delle festività natalizie, in concomitanza con la maggiore richiesta di personale legata alla stagionalità, sono tornati a crescere i contratti a termine. Ma, cosa preoccupante, gli inattivi – quelli scoraggiati che un lavoro non ce l’hanno e non lo cercano – sono aumentati molto più degli occupati, contando quarantottomila unità in più. Soprattutto tra i giovani under 35.
Mentre il Pil rallenta, l’Italia macina dunque un nuovo record di occupati, arrivati a 23 milioni 743mila. Il tasso di occupazione resta al 61,8 per cento (il più alto da quando esistono le serie storiche), quello di disoccupazione scende al 21 per cento, ma aumenta il tasso di inattività al 33,1 per cento. Un dato, questo, che potrebbe essere legato anche a quelli che hanno perso il reddito di cittadinanza e sono scoraggiati nella ricerca di un lavoro.
Nel mese prima di Natale, la crescita maggiore dei posti di lavoro si registra tra le donne, di solito maggiormente impiegate con contratti a tempo determinato, che tornano a crescere dopo la contrazione post-estiva. Le occupate in più in un mese sono state ventiquattromila, a fronte dei soli settemila occupati uomini in più. Una situazione capovolta rispetto a ottobre, quando l’occupazione maschile invece era cresciuta il doppio rispetto a quella femminile.
A soffrire, nel penultimo mese dell’anno, sono i giovani. Tra gli under 35 si perdono diciassettemila posti di lavoro in un mese. Con un forte aumento degli inattivi soprattutto tra i giovanissimi 15-24enni (+52mila) e un calo quasi identico dei disoccupati: sono ragazzi che cercavano attivamente lavoro ma che hanno smesso di farlo. Un dato preoccupante.
Al netto della componente demografica, e quindi della riduzione della forza lavoro per il calo della natalità, è evidente comunque il rallentamento dell’occupazione giovanile, che ha smesso da tempo di guidare la ripresa occupazionale. Gli under 35 scendono all’ultimo posto con +1,5 per cento in un anno, seguiti dai 35-49enni con +1,7 per cento e dagli over 50 con +3,4 per cento.
In un anno, a conti fatti, il Paese ha guadagnato oltre mezzo milione di occupati in più. Ma un mercato del lavoro che cresce mentre l’economia rallenta e i salari non aumentano nonostante la fiammata inflazionistica, porta a porsi diverse domande. In primis se questo nuovo lavoro creato sia soprattutto frutto di contratti part-time, e quindi poveri, concentrato in settori a bassa innovazione e produttività. E poi non si esclude il rischio che, una volta finita la stagione del Natale e dei saldi, i nuovi contratti a termine registrati non verranno rinnovati, come è già accaduto con la fine dell’estate.
L’aumento dell’occupazione, a fronte della scarsità di offerta data dalla contrazione demografica, «può significare mismatch e assunzione di persone non ottimali per la domanda, con conseguenze su produttività e innovazione», fa notare il presidente della Fondazione Adapt Francesco Seghezzi. «E quindi la partita della formazione è fondamentale, oggi più che mai».
Diversi economisti sostengono inoltre che il dato sulla crescita economica italiana sia sottostimato, così come i dati sugli occupati. Anche perché, fanno notare, continua a essere molto alta la scarsità di lavoratori rispetto alla domanda delle imprese. Il Covid ha scombinato tutti i parametri standard degli uffici statistici. Per cui, come spiega l’economista Andrea Garnero, «la sottostima del Pil dipende dal fatto che il Gross Domestic Income (il reddito nazionale lordo, ndr) italiano, che è l’altra modalità di misurare la ricchezza guardando al reddito, è molto più alto di quello che indica il Pil. Ecco perché potrebbe essere rivisto al rialzo».
Stesso problema con i dati del lavoro. «I dati Istat sono corretti per la stagionalità, il che richiede una precisa procedura statistica», continua Garnero. «La pandemia ha costretto gli uffici statistici a numerose revisioni al rialzo o al ribasso ogni mese, in alcuni casi anche sostanziali. E questo dipende dalla correzione per la stagionalità, motivo per cui in generale bisogna sempre interpretare le variazioni mensili con prudenza. Per cui è possibile che i dati effettivi siano un po’ migliori di quelli che vediamo».
I record registrati di mese in mese non devono comunque far dimenticare gli annosi problemi del nostro mercato del lavoro, che spiegano anche la debole crescita degli ultimi decenni. L’Italia resta tra gli ultimi Paesi in Europa per tasso di occupazione, in particolare tra le donne, e tra i primi per tasso di disoccupazione giovanile e percentuale di Neet, ovvero i giovani che non studiano né lavorano.